E adesso il Tesoro punta sui BTp in yen. Lo ha ammesso apertamente il direttore del debito pubblico per il Ministero dell’economia e finanze, Davide Iacovoni, parlando di nuove emissioni in formato “Global Bond” e attraverso “private placement” in valute straniere, a partire da quella del Giappone. Pochi giorni fa, il ritorno alle emissioni in dollari per la prima volta dal 2010. E l’importo collocato sul mercato è risultato più che doppio rispetto alle previsioni, consistendo in 7 miliardi, a fronte di una domanda superiore ai 20 miliardi.

In quell’occasione, il Tesoro ha emesso BTp a 5, 10 e 30 anni, con spread in tutti e tre i casi attorno ai 200 punti base rispetto agli omologhi Treasuries.

Perché sarebbe arrivata l’ora delle emissioni in yen? Andate a vedere la curva delle scadenze del Giappone. Il rendimento più alto non arriva allo 0,45% per il bond più longevo, che è di 40 anni. Fino ai 10 anni, è negativo e bisogna attendere i 20 anni per ottenere almeno lo 0,20%. Certo, dinnanzi alla curva tedesca non stupisce più affatto, ma se ci pensiamo bene, gli investitori domestici qui non avrebbero modo di ricavare valore dall’impiego dei capitali, tant’è che il fondo sovrano ha annunciato la modifica alle regole statutarie per potere investire di più sul comparto obbligazionario all’estero.

Dai bond del Giappone giungono segnali di allarme e il QE rischia di essere eterno

La fame di “yield” e il rischio cambio

E la Banca del Giappone ha lasciato intravedere nuovi stimoli monetari per contrastare il rischio deflazione, una realtà che il Sol Levante conosce da oltre 20 anni, al contempo avvertendo che non lascerebbe scendere troppo i rendimenti a lungo termine. Di fatto, ha iniziato già a concentrare gli acquisti di bond sul tratto a breve e medio termine, così da rendere più ripida la curva.

Gli investitori nipponici vorrebbero puntare di più sul mercato di Europa e USA, ma temono il rischio di cambio e, nel caso dei BTp, anche quello sovrano o di credito.

Lo yen è una valuta percepita come bene rifugio contro le tensioni internazionali e ogni qualvolta le cose si mettano male per qualcuno, specie in Asia, il suo tasso di cambio tende a rafforzarsi, un po’ come se fosse oro o similmente al dollaro. Da inizio 2018, ha guadagnato il 12% contro l’euro, scambiando ai massimi da due anni e mezzo. Tokyo dovrebbe ancora tagliare i tassi dal -0,1% al -0,2%, mentre la BCE sembrerebbe avere raggiunto il limite sul piano dell’accomodamento monetario, anche per le note divisioni politiche al suo interno.

Con l’offerta di BTp in yen, il Tesoro azzererebbe il rischio di cambio per l’investitore e gli basterebbe garantire un rendimento di poco superiore a quello esitato dai titoli del Giappone per attirare capitali dal paese. Ad esempio, se per un decennale offrisse l’1%, stesso rendimento del BTp in euro, i giapponesi farebbero festa e il Tesoro potenzialmente pure, nel caso in cui lo yen perdesse valore contro l’euro nei prossimi anni e alla scadenza. E anche a tassi di cambio invariati, avremmo allargato la platea degli investitori, attirando a noi un mercato ricco di capitali e affamato di “yield”.

Nuovi investimenti dal Giappone sull’obbligazionario europeo?

[email protected]