Emessi ieri i BTp in dollari, a pochi giorni di distanza dal comunicato del Tesoro che avvertiva che la relativa asta sarebbe stata tenuta entro pochi mesi. E’ stata la prima dal 2010 e punta a diversificare la raccolta dei capitali. Il riscontro sul mercato è stato a dir poco enorme: a fronte dei 3 miliardi di dollari inizialmente ipotizzati, gli ordini hanno superato i 20 miliardi, quasi 7 volte tanto. E alla fine, il Tesoro ne ha emessi per 7 miliardi. Il collocamento ha riguardato 3 scadenze: 2,5 miliardi a 5, 2 miliardi a 10 e 2,5 miliardi a 30 anni.

A inizio giornata, la guidance dava il rendimento quinquennale in area 120 punti sopra il tasso “midswap” in dollari, quello decennale a +160 e il trentennale a +245. L’esito è stato più favorevole al Tesoro, dato che il rendimento per il titolo a 5 anni è stato del 2,40%, per il titolo a 10 anni del 2,9% e per il titolo a 30 anni del 4,02%. Dati che si confrontano rispettivamente con l’1,36%, l’1,54% e il 2,04% dei Treasuries ieri alle date scadenze.

E se il Tesoro emettesse una nuova tranche del BTp in dollari 2033?

Pertanto, lo spread con gli USA si aggira all’emissione in area 104, 136 e 198 punti base. Per gli investitori americani, ma non solo, un’opportunità quasi unica di dirottare i capitali su un emittente sostanzialmente sicuro e spuntando una “yield” ormai impensabile sui mercati avanzati per un collocamento sovrano in dollari. Per l’Italia si è trattato sia di stringere il legame con il mercato a stelle e strisce, anche nell’ottica di emissioni future, sia di cercare di portare a casa condizioni effettive migliori rispetto ai collocamenti in euro, nel caso in cui il cambio euro-dollaro andasse nella direzione desiderata.

L’effetto cambio sul rendimento effettivo

In effetti, per il Tesoro quella di ieri è stata anche una scommessa sull’indebolimento del dollaro. Se confrontiamo i rendimenti con quelli attualmente in vigore sulle stesse scadenze per i BTp in euro, otteniamo che essi risultino superiori rispettivamente di circa 210, 190 e 200 punti base.

Dunque, queste emissioni si riveleranno più economiche per i nostri conti pubblici, nel caso in cui il cambio euro-dollaro alle date scadenze salisse rispettivamente di oltre il 10% entro 5 anni, il 20% entro 10 anni e del 60% entro 30 anni. Scartando quest’ultima ipotesi, molto più probabile che si verifichino le prime due, anche stando allo spread Treasury-Bund attualmente in vigore.

Ad esempio, il dollaro tra 10 anni dovrebbe aver perso quasi un quarto del suo valore contro l’euro, nel quale caso il Tesoro rimborserà agli investitori un capitale (in dollari) che lo avrà più che compensato delle più alte cedole corrisposte lungo il decennio. Analogo il discorso per il BTp a 5 anni, mentre più complesso quello sul 30 anni. In quest’ultimo caso, la convenienza dell’operazione è stata nell’attirare capitali a lungo termine da un mercato molto ricco e potenzialmente interessante anche per le prossime scadenze. E si consideri, poi, che nell’arco del trentennio il valore delle cedole per l’emittente tenderà ad abbassarsi grazie all’indebolimento del dollaro, mentre alla scadenza non è improbabile che il cambio sia per l’Italia molto più favorevole di quello odierno, pur non compensando integralmente l’extra-costo sostenuto rispetto a un’emissione di pari durata in euro.

Nuovo BTp in dollari, i due in circolazione rendono il 2% in più

E nessuno potrà escludere che il Tesoro ritenga conveniente, a un certo punto, il rimborso anticipato del trentennale, nel caso in cui il cambio euro-dollaro si mostrasse in netta ascesa. Per gli investitori dell’area, italiani compresi, i BTp in dollari sarebbero, viceversa, una scommessa sull’indebolimento del dollaro in misura inferiore alle attuali aspettative del mercato. Se, specie nel medio-breve termine, il dollaro reggesse contro l’euro (ipotesi non peregrina), chi acquistasse questi bond si ritroverebbe a spuntare rendimenti nettamente superiori a quelli in euro e solo parzialmente scalfiti dal deprezzamento del biglietto verde.

[email protected]