E’ una giornata molto positiva per i titoli di stato italiani, che arriva paradossalmente il giorno dopo la pubblicazione del nuovo Dpcm con cui il governo Conte ha imposto un secondo semi-lockdown all’Italia. Il BTp a 10 anni ha visto scendere il rendimento di 8 punti base allo 0,68%, così come quello a 50 anni, sceso dall’1,94% di venerdì scorso all’1,86% di questa mattina. Lungo la curva, la discesa è una costante. E’ successo che venerdì sera, a mercati chiusi, l’agenzia S&P ha aggiornato il suo giudizio sul debito sovrano italiano, migliorando l’outlook da “negativo” a “stabile” e mantenendo il rating BBB, a due passi dall’area “non investment grade” o “spazzatura”.

Sembra un paradosso che questa promozione sia avvenuta nel bel mezzo della più grave crisi economica dal Secondo Dopoguerra e nonostante il debito pubblico stia dirigendosi al 160% del PIL. Eppure, quella di S&P è la semplice presa d’atto che i nostri bond risulterebbero oggi più sicuri qualche mese fa, grazie alle azioni straordinarie adottate da BCE e Unione Europea. La prima ha potenziato il “quantitative easing” e varato un piano di emergenza per gli acquisti, noto come PEPP. Queste misure hanno consentito a tutti gli stati dell’Eurozona di emettere debito senza preoccuparsi della domanda, perché sui mercati hanno trovato proprio il sostegno fortissimo di Francoforte.

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Rischio sovrano ridotto

E c’è il capitolo Recovery Fund. Il fondo da 750 miliardi su cui i governi comunitari si sono accordati a luglio prevede lo stanziamento di 500 miliardi di euro in sovvenzioni e 250 in prestiti. Per quanto ancora debba essere implementato, per analisti e investitori si tratta di un primo segnale nella giusta direzione, vale a dire nel senso della maggiore condivisione dei rischi sovrani. E per i titoli del debito più fragili, come lo sono i BTp, ciò suona positivamente.

Significa che a Bruxelles si è voltato pagina realmente rispetto al 2010, quando il salvataggio della Grecia (e poi di Irlanda e Portogallo) non fu scontato e avvenne condizionatamente all’adozione da parte di Atene di un nutrito calendario di riforme. Stavolta, le istituzioni europee stanno segnalando che esisterebbe una sorta di “backstop” automatico a favore degli stati almeno dell’Eurozona, tale da ridurre considerevolmente i rischi sovrani negli stati fiscalmente più deboli.

Alle agenzie di rating, oltre ai fondamentali macro in sé, interessa anche la percezione che il mercato ha di un debito. Essa si traduce nel costo che il debito stesso produce a carico di chi lo emette, per cui ha un impatto critico sulla sua sostenibilità. E poiché gli investitori dalla tarda primavera si sentono sempre più rassicurati del fatto che l’Italia non verrà lasciata sola nel mare in tempesta, anche perché sta in compagnia di tantissime altre economie, tra cui la Francia, il rischio sovrano percepito sta scemando. Il costo per acquistare un “credit default swap” a 5 anni era arrivato fino a 246 punti base in aprile, oggi è sceso a 122, ai minimi da febbraio.

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