“Salve, volevo chiedere alcune delucidazioni. Ho letto un suo articolo sui bond Venezuela. Secondo lei non rivedrò più un centesimo oppure a lungo termine troveranno una soluzione? I miei bond scadono nel 2022”.

Uno dei nostri lettori ci ha scritto per chiedere lumi sull’investimento in bond del Venezuela. Sappiamo che Caracas è in default dalla fine del 2017, quando ha iniziato a non onorare le sue prime scadenze, accumulando ad oggi oltre una decina di miliardi di arretrati tra capitale e interessi.

Il debito sovrano venezuelano ammonta a oltre 60 miliardi di dollari, ma sommando anche quello della compagnia statale PDVSA e di altre società pubbliche, sfiorerebbe i 160 miliardi.

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I bond del Venezuela non vengono negoziati più dal febbraio scorso sul mercato secondario, in conseguenza delle sanzioni americane, che impediscono a entità e privati residenti negli USA di far fluire dollari al regime di Nicolas Maduro. A cascata, questi provvedimenti hanno effetti “extra-territoriali”, cioè vengono seguiti anche da soggetti non americani, per cui oggi risulta impossibile acquistare e vendere titoli del debito venezuelano. Quante probabilità si hanno che l’investimento non venga perduto? Il signore ci ha scritto in privato di avere acquistato il bond in dollari con scadenza agosto 2022 e cedola 12,75% (ISIN: USP17625AC16) al prezzo di 55, per cui deduciamo che l’investimento sia avvenuto a metà 2017.

Condizioni finanziarie drammatiche

Nell’ultimo giorno di negoziazione, lo stesso bond valeva meno di 34, ma era risalito di oltre il 40% dall’inizio dell’anno, a seguito del rally che a gennaio aveva coinvolto tutti i titoli venezuelani sull’attesa di un cambio di regime, dopo che il presidente dell’Assemblea Nazionale, Juan Guaido, si era auto-proclamato capo dello stato al posto di Maduro. Tuttavia, tali speranze ad oggi risultano disattese, nonostante gli USA abbiano accresciuto la loro pressione su Caracas.

Difficile pronosticare gli sviluppi politici, per cui ci limitiamo a considerazioni essenzialmente finanziarie.

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L’economia venezuelana è al collasso. Figuratevi che il solo debito sovrano estero in forma di obbligazioni varrebbe oggi circa il doppio delle esportazioni annue del paese andino e, peraltro, queste ultime sono in calo per via del crollo della produzione di petrolio, di fatto l’unica materia prima venduta all’estero. Senza afflusso di dollari, anche volendo, non ci sarebbero soldi per pagare gli obbligazionisti. Vero è che miracolosamente il Venezuela riesce ad esitare una bilancia commerciale in attivo, ma per il solo fatto di comprimere i consumi interni fino all’indicibile, anche al costo di provocare una fame dilagante presso i 30 milioni di residenti.

Investimento in bond venezuelani recuperabile?

Quando le condizioni finanziarie ed economiche torneranno a normalizzarsi, assieme a quelle politiche, se l’Argentina funge da esempio, probabile che l’attuale regime o chi lo succederà cercherà di riottenere la fiducia dei mercati, pattuendo con i creditori una ristrutturazione del debito. Buenos Aires allungo le scadenze e tagliò al 30% il valore nominale dei bond con due accordi siglati nel 2005 e nel 2010 dopo il default di fine 2001, per cui i suoi obbligazionisti hanno ottenuto meno di un terzo del valore formalmente acquistato e diluito negli anni. Supponiamo che anche Caracas proceda con un “haircut” in area 30%; un problema per chi, come il signore che ci ha scritto, ha acquistato a prezzi decisamente superiori, sebbene non ci sarebbero alternative.

Tutti gli altri 11 bond in dollari prezzavano nell’ultima seduta prima della sospensione delle contrattazioni in area 30, ma oggi varrebbero verosimilmente la metà. Purtroppo, nel caso in cui avesse seriamente inizio una rinegoziazione, formalmente avviata con i creditori alla fine del 2017 e nei fatti mai decollata, il regime si baserà con ogni probabilità sui valori di mercato per strappare le migliori condizioni possibili alla controparte, risparmiando decine di miliardi di capitale da rimborsare, nonché di cedole non corrisposte.

Sempre sull’esempio dell’Argentina, riteniamo che quando le condizioni lo consentiranno, si affacceranno sul mercato alcuni fondi speculativi per rastrellare bond dai privati, cercando di capitalizzare al massimo il risultato. Se per ipotesi la ristrutturazione prevedesse un rimborso a 30, questi fondi comprerebbero a valori decisamente più bassi da obbligazionisti individuali come il nostro lettore.

Purtroppo, il caso Venezuela ci impartisce una dura lezione: mai scommettere su economie rette da regimi non liberali e che si collocano all’infuori dell’ordine geopolitico a cui l’Italia appartiene, a meno di non accettare l’idea di assumersi rischi anche ingenti. Maduro ha cercato di onorare le scadenze fino a quando è stato umanamente possibile, ma alla fine ha prevalso la realtà. Per contro, va detto che le timide riforme varate nei mesi scorsi inizierebbero a mostrare qualche frutto, come l’uscita dall’iperinflazione. Il dato che va monitorato dagli obbligazionisti per capire se nel medio-breve termine potranno tornare in possesso di almeno parte dell’investimento riguarda le riserve valutarie, ad oggi pari a 9,4 miliardi, bassissime, per quanto in lieve recupero. Nel caso di una decisa risalita, possibile che Caracas almeno paghi le cedole alle prossime scadenze.

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