I creditori del Venezuela sono in trappola. Ieri, il Tesoro americano ha comminato nuove sanzioni contro Caracas, diramando i dettagli di quanto già avesse anticipato il venerdì scorso. I fondi d’investimento e gli Etf, se risultano essere entità USA, “non potranno acquistare, vendere o avere altro tipo di legame con transazioni legate al debito, al capitale e altre detenzioni in persone bloccate e dovranno bloccare tali detenzioni, salvo ricevere autorizzazione dall’OFAC (Office for Foreign Assets Control)”. L’embargo riguarda solo gli enti con sede negli USA, ma da ieri risulta pressoché impossibile pure agli investitori non americani, europei compresi, accedere al mercato obbligazionario corporate e sovrano del Venezuela per vendere o acquistare titoli.

La ragione è presto spiegata: poiché gran parte dei debiti emessi nel paese andino risulta in mano a creditori americani, una volta che a questi il trading è stato vietato, la liquidità sul mercato risulta prosciugata e, quindi, diventa pressoché impossibile operare anche per soggetti estranei formalmente alle sanzioni.

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Tra i più esposti ai bond di PDVSA, la compagnia petrolifera statale venezuelana, che il regime “chavista” di Nicolas Maduro, così come il predecessore, utilizza come un bancomat dello stato, vi sono i fondi BlackRock, Pimco e T Rowe Price. Il Tesoro ha spiegato che le sanzioni rimarranno attive fino a quando la gestione della compagnia e l’accesso alla sua liquidità non saranno trasferiti in capo all’Assemblea Nazionale, il cui presidente Juan Guaido è stato riconosciuto dalla Casa Bianca e da numerosi altri governi come il legittimo capo dello stato del Venezuela. L’Unione Europea ha assunto posizioni più sfumate, avendo intimato a Maduro di indire al più presto nuove elezioni presidenziali, altrimenti riconoscerà Guaido come presidente. Dopo il rifiuto del dittatore, non resta che passare dalle parole ai fatti.

Eppure, gennaio è stato un mese molto positivo per il mercato obbligazionario corporate e sovrano a Caracas sull’ottimismo degli investitori per un cambio di regime imminente. Facciamo qualche esempio: il bond PDVSA 12,75% con scadenza febbraio 2022 ha registrato un balzo del 64% a 31,50; quello call sink 6% e con scadenza maggio 2024 è aumentato di prezzo a 22,55, sfoderando un +57,7%. Meno accentuati, ma sempre consistenti i guadagni dei titoli di stato, con il bond settembre 2027 e cedola 9,25% a segnare il 47,7% a 33,60, mentre quello con scadenza maggio 2028 e cedola 9,25% ha esibito un +44,4% a 32.

Fiducia o scommessa sui bond Venezuela?

Che fare? Dipende da quali siano le proprie convinzioni sull’evoluzione politica nel Venezuela. Se si ritiene che il regime di Maduro sia agli sgoccioli e che Guaido nei fatti si accinga ad esercitare pienamente i poteri presidenziali, allora le obbligazioni emesse da PDVSA e i titoli di stato sarebbero persino appetibili, dato che il mercato reagirebbe alla fine del “chavismo” riversando i capitali per l’acquisto di tali titoli. Tuttavia, se Maduro dovesse resistere ad oltranza, il dolore accusato in questi giorni dagli obbligazionisti sarebbe solo l’inizio. I prezzi potrebbero ripiegare ai livelli pre-rally, anzi persino sotto, scontando le nuove sanzioni e la degenerazione della crisi economica e finanziaria del Venezuela di questa fase. Non dimentichiamoci che il dittatore ha sinora dimostrato sempre di tenere a cuore il suo futuro politico più di ogni altra cosa e ha sfoggiato una capacità di resistenza personale alla crisi politica ed economica impressionante.

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Resta da capire quali siano le ragioni per le quali agli americani sia stato vietato non solo di acquistare titoli sul mercato primario, bensì di acquistarli e venderli su quello secondario. In teoria, quest’ultimo non implica un rapporto diretto con il regime, cioè acquistare un bond sul secondario non finanzia la dittatura, visto che il denaro finisce nelle tasche di un altro investitore privato.

Tuttavia, due sarebbero le probabili spiegazioni. Anzitutto, Washington punterebbe a punire quella élite filo-chavista, che nel Venezuela finanzia il regime con l’acquisto di bond corporate e sovrani, impedendole di rivendere i titoli ad altri privati. Secondariamente, vorrebbe segnalare agli investitori non americani che, non essendovi più un mercato secondario liquido in cui vendere, acquistare bond sul primario diventerà ancora più rischioso, perché si finirebbe per restare con una patata bollente tra le mani e della quale sarebbe difficile disfarsi.

In sostanza, l’America sta togliendo ossigeno giorno dopo giorno al regime, in modo da costringerlo con la forza a cedere il potere a Guaido. Non è detto che vi riesca, specie se Russia e Cina dovessero continuare a finanziarlo con prestiti diretti o attraverso società come quella energetica Rosneft, così come hanno fatto negli anni passati.

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