Sono diversi e preoccupati i lettori che ci scrivono per capire quale fine faranno i loro investimenti in bond del Venezuela e se vi siano speranze di recuperare almeno parte delle somme. Sappiamo che le negoziazioni sul circuito secondario sono sospese da inizio febbraio, a seguito dell’inasprimento delle sanzioni finanziarie americane contro Caracas. E proprio il governo americano da settimane è oggetto di pressioni da parte del mondo della finanza, affinché allenti l’embargo e renda possibile almeno i pagamenti dei titoli già emessi.

L’intento di Washington è di impedire che il mercato continui a sostenere il regime dispotico di Nicolas Maduro, ma in molti hanno notato sin dall’inizio come il trading delle obbligazioni già emesse e il pagamento delle scadenze non abbiano nulla a che vedere con nuovi capitali offerti al Venezuela, riguardando debiti già contratti.

Esiste un mercato nero sul quale le obbligazioni sovrane del Venezuela vengono scambiate, ma a prezzi che risulterebbero essere mediamente attorno al 15% del valore nominale, circa la metà di quelli a cui si sono attestati i 12 bond in dollari USA nell’ultima seduta prima della sospensione delle contrattazioni. A questo punto, più che cercare qualche improbabile affarista a cui svendere a prezzi stracciati, sarebbe opportuno valutare le alternative.

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Le vie legali contro il Venezuela

Formalmente, un creditore insoddisfatto può fare causa al debitore, nel caso specifico attraverso una “class action” internazionale. Le obbligazioni venezuelane in dollari sono state emesse sotto la legge americana, per cui è competente la giustizia USA per eventuali ricorsi. Il problema numero uno riguarda chi portare a processo: il regime di Maduro, non riconosciuto dagli USA e da gran parte della comunità internazionale, oppure Juan Guaido, che la Casa Bianca ha formalmente legittimato quale capo dello stato? Il primo controlla di fatto il paese, il secondo no.

Se si portasse in tribunale il governo di Maduro, questi potrebbe rispondere con una pernacchia, ammesso che un suo qualche rappresentante facesse mai un’apparizione per difendersi nel processo. In effetti, duole dirlo, il giudice di New York può ordinare a Caracas di pagare, ma non può imporglielo con la forza. Il caso dell’Argentina è stato esemplare, in tal senso. E, soprattutto, i giudici americani nemmeno riconoscerebbero Maduro quale controparte, in quanto formalmente l’America ritiene che il presidente legittimo del Venezuela sia Guaido. Questi, dal canto suo, sarebbe pure più sensibile alle ragioni dei creditori per guadagnarsi la fiducia dell’alleato americano, ma non dispone dei mezzi per pagare. E la giustizia USA dovrebbe prendere atto che il debitore non sia nelle condizioni effettive di pagare per ragioni che non erano previste e prevedibili nel momento in cui furono assunte le obbligazioni.

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Il precedente di maggio sul bond PDVSA

Ci sarebbe una piccola luce in fondo al tunnel, un precedente importante per gli obbligazionisti. A maggio, Guaido ha onorato una scadenza delle obbligazioni PDVSA 2020 (ISIN: USP7807HAV70), sborsando 71 milioni per il pagamento della cedola, attingendo alle entrate della compagnia petrolifera, trattandosi di un bond garantito dalle azioni della controllata Citgo, la raffineria con sede nel Texas, di cui il 49,9% del capitale risulta in pegno alla russa Rosneft.

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Il fatto che Guaido abbia pagato implicherebbe sul piano legale la sussistenza di una pur minima capacità del suo governo di fronteggiare le scadenze, comprese quelle sovrane a cui le obbligazioni PDVSA vengono assimilate. E poiché gli assets petroliferi vengono considerati nei fatti direttamente in mano allo stato, il giudice americano dovrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di esproprio di Citgo, oltre che della controllante PDVSA, al fine di soddisfare i creditori.

In realtà, sappiamo che l’esborso è avvenuto con grandi sforzi da parte del board ad hoc nominato dall’Assemblea Nazionale, in mano alle opposizioni. Per contro, il fatto che il regime abbia accettato che Guaido pagasse, senza giudicare l’operazione illegittima, implicherebbe che abbia acconsentito che il governo parallelo si assumesse la responsabilità di obbligazioni contratte da esso stesso verso la comunità internazionale dei creditori.

Parliamoci chiaramente: non è facendo causa a un non meglio precisato governo del Venezuela che si otterrà indietro il dovuto. Caracas pagherà quando ciò tornerà ad essere possibile, cioè quando le entrate petrolifere saliranno decisamente dai livelli attuali, perlopiù dopo che sarà stata aumentata la produzione domestica. E al momento, nulla lascia presagire che siamo vicini a tale fase. Per l’Argentina si sono resi necessari fino a 8 anni di battaglie legali per definire i termini della ristrutturazione del debito sovrano. Con ogni probabilità, di anni ce ne vorranno anche in questo caso, perché se anche Guaido riuscisse a prendere davvero il controllo del Venezuela oggi stesso, il suo primo pensiero non sarebbe di certo come pagare i debiti dei suoi predecessori, quanto di rispondere alle richieste della popolazione, letteralmente affamata per il tracollo economico e finanziario accusato dal paese. Tutt’al più, inizierebbe a onorare le cedole.

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