In pochi stanno volendo investire nel debito pubblico della Turchia in valuta locale. Il crollo della lira turca del 30% quest’anno contro l’euro è stato troppo pesante per essere ignorato. Neppure i rendimenti al 12-13% lungo la curva delle scadenze appaiono allettanti, una volta che si prende in considerazione il rischio di cambio. Ma la scorsa settimana, il Tesoro di Ankara ha riscosso successo con l’emissione di un nuovo bond a 10 anni in dollari, scadenza 2031, raccogliendo 2,25 miliardi. Grazie all’elevata domanda, lo spread si è ristretto a 512 punti base dai 609 dell’asta di ottobre.

Le obbligazioni decennali offrono cedola annuale del 5,95% e rendimento al 6%, data l’emissione a poco meno della pari. Cosa ci sarebbe di meglio di investire in un asset denominato in una valuta solida e ad alto rendimento? In teoria, sembra essere un affare. La Turchia ha un rapporto debito/PIL relativamente basso, al 33% a fine 2019. Pur atteso in rialzo a causa dell’emergenza Covid, non parliamo di livelli preoccupanti. Tuttavia, se iniziamo a guardare ai rating, ci accorgiamo già che qualcosa non quadra: B+ per S&P, BB- per Fitch e Ba2 per Moody’s. Secondo le principali agenzie internazionali, parliamo di debito “spazzatura”.

In effetti, la Turchia presenta squilibri macro preoccupanti, di cui ci occupiamo spesso su Investire Oggi. Partite correnti e bilancia commerciale in passivo cronico, inflazione a due cifre e cambio debole. Per cercare di correggere tali squilibri, la banca centrale è stata costretta nelle scorse settimane ad alzare i tassi al 15%. L’obiettivo sarebbe di abbassare l’inflazione, stabilizzare il cambio e portare in equilibrio i saldi commerciali e correnti. Ma le ingerenze politiche piuttosto dirette e frequenti non lasciano ben sperare. L’esperienza del 2018 insegna che le misure lungimiranti nella Turchia del presidente Erdogan non hanno vita lunga.

Bond Turchia, emissioni in lire e dollari a 10 anni e cambio tornato debole

I rischi del bond in dollari

E il fatto è che le riserve valutarie lorde della banca centrale ammontano a soli 43,7 miliardi di dollari, mentre quelle nette e scorporando le operazioni swaps sarebbero di -46,5 miliardi.

Questo, a fronte di un debito totale con l’estero a breve termine di circa 130 miliardi. In teoria, se smettessero di affluire dollari, Ankara non disporrebbe che di un terzo del suo fabbisogno in dollari per ottemperare le scadenze con i creditori esteri. Bond come quelli appena emessi non potrebbero essere più onerati.

Quante sono le probabilità che ciò si verifichi? Dipende dallo scenario. La Turchia è in forte frizione sia con l’Unione Europea che con gli USA. La nuova amministrazione americana non dovrebbe essere meno tenera con Erdogan sui suoi rapporti militari con la Russia e, soprattutto, sul rispetto dei diritti umani. In più, la Francia preme per imporre sanzioni alla Turchia sin dal prossimo mese. Se queste venissero effettivamente comminate, la lira turca collasserebbe ulteriormente e la fuga dei capitali prosciugherebbe le riserve, costringendo il governo a imporre restrizioni ai movimenti finanziari, tra le quali possibili misure d’impatto per i creditori.

Poiché né Washington, né Bruxelles per il momento vorrebbero scatenare una crisi finanziaria mentre ve n’è in corso una sanitaria ed economica globale, per adesso Erdogan dovrebbe scamparla. Ma la benevolenza di USA ed Europa non durerà a lungo. Il mercato obbligazionario turco, quindi, presenta rischi più seri di quelli che possiamo stimare guardando ai soli dati macro, compreso il segmento in valuta estera.

Obbligazioni in lira turca, risarcimenti possibili per i piccoli investitori italiani

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