La banca centrale turca ha concluso il 2020 con un terzo rialzo dei tassi nell’anno, il secondo consecutivo sotto il nuovo governatore Naci Agbal. Il costo del denaro è stato elevato al 17%, mentre l’inflazione a novembre risulta salita al 14% e tra gli analisti si teme vi sia stata una ulteriore accelerazione per il mese di dicembre. Non vi erano alternative per arrestare la spirale inflazione-svalutazione-inflazione, che stava ricreando le condizioni ideali per una seconda crisi finanziaria di Ankara in appena un biennio.

Non a caso, dai minimi storici contro il dollaro toccati a novembre, la lira turca ha recuperato circa il 13%. Dopo l’ultimo rialzo dei tassi, segna +2,5%.

Il rendimento a 10 anni dei titoli di stato sono rimasti stabili nell’ultima settimana al 12,95%, mentre quello a 2 anni è salito di circa un quarto di punto percentuale sopra il 15%. Lo spread 10/2 anni si è portato, quindi, a -207 punti base. Questo significa che la curva delle scadenze turca si è invertita ancora di più, un fenomeno che va avanti dallo scorso settembre. Al momento, risulta invertita come mai nell’ultimo anno e mezzo. Dovete pensare che a maggio, lo spread 10/2 anni sfiorava i +400 punti base. In circa sette mesi, quindi, si è passati da un decennale che offriva 4 punti percentuali in più del biennale a un rendimento inferiore di oltre il 2%.

Bond Turchia in calo dopo il secondo maxi-rialzo dei tassi consecutivo

Curva dei bond turchi invertita

L’inversione della curva segnala aspettative d’inflazione calanti per il medio-lungo termine, trainate da una politica monetaria restrittiva. In altre parole, il mercato sta capendo che la banca centrale intenderebbe fare sul serio contro l’inflazione e sconta tassi elevati per il breve e medio periodo, a fronte di una crescita dei prezzi al consumo meno sostenuta negli anni. Vedremo se avrà ragione. Nel 2018, tali aspettative andarono profondamente deluse.

Nel settembre di quell’anno, quando i tassi vennero alzati al 24% contro il crollo della lira e il boom dell’inflazione, lo spread 10/2 anni sprofondò a -700 punti base. Eppure, pochi mesi dopo il governo premette per ottenere un allentamento monetario, l’inflazione smise di arretrare e tornò a crescere, mentre la lira non ha fatto che deprezzarsi contro le altre valute.

Nelle ultime settimane, il bilancio è certamente positivo per i titoli denominati in dollari. Il bond 16 febbraio 2026 e cedola 5,20% (ISIN: XS1909184753) ha guadagnato il 3,7% a dicembre, scendendo a un rendimento del 3,16%. Il bond 15 gennaio 2031 e cedola 5,95% (ISIN: US900123DA57) è balzato del 5% e a fine dicembre offriva il 5,26%. Per il momento, tuttavia, non sussisterebbero le condizioni per ipotizzare un miglioramento dell’outlook per questi titoli. I saldi della bilancia commerciale e quelli delle partite correnti restano negativi, cioè gli squilibri strutturali dell’economia turca non stanno ancora rientrando. O lo faranno nei prossimi mesi o servirà verosimilmente un cambio persino più debole. I rendimenti dei bond in lire risentiranno certamente delle prossime mosse dell’istituto, legate strettamente all’evoluzione dell’inflazione. Probabile che questa sia già culminata e che nei primi mesi del 2021 mostri segni evidenti di rallentamento, anche in virtù della stabilizzazione del cambio. Solo se il governatore non si affretterà a ri-abbassare i tassi, la fiducia verso la lira tornerà ad attecchire, sostenendo lo sgonfiamento dell’inflazione da un lato e dei rendimenti sovrani dall’altro.

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