La Turchia potrebbe allungare la durata media delle obbligazioni emesse tra la fine di quest’anno e l’inizio dell’anno prossimo. Del resto, in meno di un anno e mezzo le scadenze medie delle emissioni sono crollate da circa 7 a 2,5 anni, a causa del rialzo dei rendimenti che ha aumentato il costo del debito sovrano di Ankara. Attualmente, i bond stanno apprezzandosi per via del vigoroso taglio dei tassi della banca centrale, che li aveva portati al 24% nel settembre dello scorso anno per combattere l’inflazione crescente e il crollo della lira turca sui mercati, ma che all’ultimo board li ha ridotti al 16,50%.

Obbligazioni della Turchia in dollari in calo prima del taglio dei tassi

Grazie alla stabilizzazione del cambio contro il dollaro in area 5,70, gli investitori stranieri sono tornati a guardare all’obbligazionario locale, tanto che i decennali sono scesi al 13,6% e i biennali al 13,76%, quando a maggio si attestavano rispettivamente sopra il 20% e al 25,7%. Tuttavia, il rischio di cambio per una valuta emergente così volatile come si è rivelata nell’ultimo quinquennio la lira turca rimane, ragion per cui varrebbe la pena allargare lo sguardo alle obbligazioni sovrane turche in valuta estera.

Tra queste abbiamo il bond in dollari con scadenza nel febbraio 2034 e cedola 8% (ISIN: US900123AT75), che attualmente prezza sopra 110, in rialzo di oltre il 10% in appena 6 mesi. Nel marzo scorso, infatti, il titolo viaggiava di poco sotto la pari e offriva un rendimento superiore all’8% contro il 6,75% di oggi. Rispetto al Treasury di simile durata, lo spread risulta sceso da 550 a 490 punti base nell’arco dello stesso periodo. Per un investitore dell’Eurozona, sarebbe un’opportunità di diversificazione del portafoglio a incremento della “yield”. Certo, bisogna ugualmente fare i conti con l’indebolimento atteso del dollaro contro l’euro entro la scadenza dei quasi 15 anni, pari a circa il 25% da oggi.

I rischi specifici del bond in dollari

Facendo due conti, sarebbe come ipotizzare che il rendimento effettivo nel febbraio 2034, quando avverrà il rimborso del capitale, si aggiri intorno al 4,25%, che resta ugualmente elevato e risente evidentemente del rischio di credito dell’emittente, per quanto appaia onestamente basso, malgrado i rating “non investment grade” assegnati da tutte le principali agenzie di valutazione. L’unico problema reale a cui andrebbe incontro l’obbligazionista sarebbe quello dell’alta volatilità. Dalla sua emissione di oltre due anni fa, risulta deprezzatosi del 12%, ma era arrivato a crollare di oltre il 28% nell’estate del 2018.

Sebbene le vicissitudini legate alle tensioni tra banca centrale e governo da una parte e cambio dall’altra non influenzino, se non marginalmente, le obbligazioni in valuta americana, anche queste restano esposte alla congiuntura economica avversa e alle numerose problematiche geopolitiche che vedono la Turchia al centro di uno scontro diplomatico sia con gli USA che con l’Arabia Saudita. Lo stesso eccessivo indebolimento della lira impatta alla lunga negativamente anche sui bond in dollari, gravando sulle riserve valutarie e aumentando il rischio (teorico) di default. Per contro, l’allentamento monetario della Federal Reserve riduce le pressioni sui titoli turchi e rende gli spread molto allettanti, sostenendo le quotazioni.

Perché il maxi-taglio dei tassi in Turchia non ha colpito bond e lira

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