Buenos Aires ha raggiunto un accordo di ristrutturazione con i principali obbligazionisti detentori di circa 66 miliardi di dollari di bond sovrani emessi in valute estere sui mercati internazionali. C’è tempo fino al 28 agosto per una sottoscrizione formale, che dovrà passare per la ratifica da parte di almeno l’85% del capitale relativo ai bond emessi nel 2005 e nel 2010, a seguito della precedente ristrutturazione, dei due terzi e del 75% per tutti gli altri. Non sono percentuali facili da raggiungere, ma c’è grande ottimismo sull’esito delle votazioni.

Bond Argentina, accordo vicino e quotazioni in risalita

L’accordo del 4 agosto scorso prevede l’emissione di nuovi bond al posto di quelli oggetto della ristrutturazione e per un controvalore medio del 55%. Grazie all’intesa, soltanto nel prossimo decennio l’Argentina risparmierà 38 miliardi di dollari. Il mercato non sta del tutto scontando questo scenario, se è vero che mediamente i prezzi dei bond esistenti ancora quotino al 44% del loro valore nominale, cioè 11 punti percentuali in meno dell’accordo, pari a un quinto dell’attuale valore di mercato.

E così, il rendimento medio delle obbligazioni sovrane argentine attualmente si aggira in area 12%, confrontandosi con circa l’1% dei Treasuries americani. Lo spread di 1.100 punti base segnala una condizione di forte stress finanziario per Buenos Aires. In genere, differenziali di rendimento pari ad almeno 1.000 punti sono un cattivo segnale per il paese emittente.

Resta il pessimismo su Buenos Aires

In effetti, l’accordo porrà fine formalmente al nono default della storia argentina, ma non crea le condizioni per evitarne un decimo. I mali storici di Buenos Aires restano insoluti, tra politiche fiscali lassiste e monetarie ultra-espansive. Il deficit, causa anche Covid, quest’anno galopperà all’8,5% del pil, mentre l’inflazione viaggia al 45% e poiché l’amministrazione del peronista Alberto Fernandez non riesce ad attrarre capitali sufficienti dall’estero, parte della spesa pubblica in eccesso viene nei fatti monetizzata dalla banca centrale, tant’è che di recente questa ha dovuto commissionare all’estero la stampa dei pesos, avendo esaurito la carta.

Scene viste negli ultimi anni a Caracas.

Tornando ai bond, quello secolare con scadenza nel 2117 e cedola 7,125% (ISIN: US040114HN39) oggi viaggia in area 43,60 centesimi, il doppio dei 22,94 centesimi toccati a inizio maggio, ma sotto i 50 di inizio anno. Le obbligazioni in euro sink in scadenza nel 2033 (ISIN: XS0205545840) superano i 48 centesimi, anche in questo caso quasi doppiando i livelli di inizio maggio sotto i 26,50 centesimi, ma restano lontane dai 60 di apertura del 2020. Stesso discorso per i titoli in dollari 2027 e cedola 6,875% (ISIN: US040114HL72), oggi sopra i 45 centesimi, dai 23,31 minimi toccati nel corso dell’anno e sempre sotto i 50 di inizio 2020.

In un certo senso, è come se il mercato continui a non fidarsi del debito argentino, malgrado la ristrutturazione appena siglata con i principali creditori. Pretendere rendimenti a doppia cifra, quando anche nel grosso dei mercati emergenti i governi spuntano livelli storicamente contenuti, significa temere un ennesimo default. Del resto, la storia argentina sostiene il pessimismo, se è vero che questo in corso sia ben il terzo default in 18 anni.

Nell’Argentina del “corralito” si comprano azioni e bond per sfuggire ai pesos

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