La Banca Centrale Europea (BCE) ha iniziato a chiudere i rubinetti della liquidità già lo scorso anno. Lo ha fatto attraverso più tappe. A partire dal marzo del 2022 ha cessato gli acquisti di bond condotti con il PEPP, il programma anti-pandemico varato esattamente due anni prima. Dal giugno dello scorso anno, invece, ha posto fine agli acquisti legati al Quantitative Easing (QE). Il programma era stato varato ad inizio 2015 e implementato a partire dal marzo di quell’anno. Soltanto nel 2019 vi era stata la sua sospensione.

E dal marzo di quest’anno, sempre la BCE aveva annunciato la riduzione dei riacquisti dei bond con il QE per un importo pari a 15 miliardi al mese rispetto alle scadenze. Da questo mese, infine, i riacquisti sono stati del tutto azzerati. Restano attivi solamente quelli legati al PEPP e fino almeno a tutto il 2024.

Rubinetti chiusi a Francoforte

La lotta all’inflazione ha reso necessario il cambio di passo. Allo stesso tempo, sta avendo conseguenze sui mercati sovrani dell’Area Euro. Per anni eravamo stati abituati a considerare un dato di fatto la domanda di bond della BCE. Non solo non è più così, ma i governi arrivano a temere che prima o poi l’istituto si metta a rivendere i titoli in portafoglio per accelerare la riduzione del bilancio e restringere ulteriormente le condizioni monetarie. Un problema per quei paesi come l’Italia molto indebitati e in cui l’aumento dei rendimenti finisce con l’accrescere eccessivamente la già alta spesa per interessi.

Tuttavia, almeno fino alla fine di maggio non si può certo dire che la BCE abbia colpito in misura eccessiva i bond del Sud Europa, quelli maggiormente esposti ai rischi. Lo confermano i dati che arrivano dallo stesso istituto e che si riferiscono alle detenzioni con il QE nei primi cinque mesi dell’anno.

Al 31 maggio scorso, il portafoglio dei titoli di stato acquistati con il programma ammontava a 2.706,735 miliardi di euro, in calo di 35,35 miliardi rispetto al 31 dicembre. Questo significa che lo smaltimento c’è stato per neppure l’1,30% del totale. In ogni caso, non ha riguardato tutti i bond e certamente non in pari misura.

Riposizionamento portafoglio bond BCE

Ad esempio, i Bund della Germania sono diminuiti di 16,11 miliardi in cinque mesi, gli Oat della Francia di 13,49 miliardi. Insieme, fanno quasi l’84% del calo complessivo. In altre parole, la BCE ha smesso soprattutto di comprare i bond tedeschi e francesi per riposizionarsi maggiormente a favore di altri mercati. Quali? I BTp sono scesi di 1,62 miliardi, appena il 4,6% del calo totale. I Bonos spagnoli sono diminuiti di 1,79 miliardi, anch’essi molto meno della quota loro riservata dalla BCE. Invece, ci sono stati bond ad essere aumentati di peso nel portafoglio anche in valore assoluto. Quelli del Belgio sono aumentati di 1,69 miliardi, dell’Austria di 1,48 e del Portogallo di 1,56 miliardi.

Questi dati spiegherebbero in parte la riduzione in corso degli spread nel Sud Europa, e non solo. La BCE continuando a sostenere i mercati percepiti più deboli in una fase di aumento dei tassi d’interesse, riducendo in misura minore i loro bond o persino incrementandone la quantità. Ed è così, ad esempio, che la quota di Bund sul totale è scesa dal 24,3% di fine 2022 al 24%. Gli Oat sono passati dal 19,5% al 19,2%. I BTp sono saliti dal 16,2% al 16,3%, i Bonos dall’11,5% all’11,6%, i bond del Portogallo dall’1,96% al 2,04%.

Non è detto, né pensabile che sarà certamente così anche nei mesi successivi. Pur evitando le pignolerie, la BCE dovrà comunque attenersi alle quote assegnate a ciascun mercato (“capital key”). Già oggi i Bund in portafoglio sono inferiori al 26,15% teorico, così come gli Oat rispetto al 20,26% e i BTp al 16,85%.

Ad essere onesti, quindi, la BCE dovrebbe ridurre il peso di altri mercati, mentre per i titoli di stato italiani vi sarebbero ancora margini per acquisti netti nell’ordine di 13-14 miliardi in base al valore del portafoglio a fine maggio. Queste cifre ci fanno guardare, tutto sommato, con un prudente ottimismo allo spread nel resto dell’anno.

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