Gli attacchi arrivati dall’Italia sono l’ultima delle sue preoccupazioni. Sono intervenuti ben tre componenti del governo ad inveire contro l’annuncio del governatore della Banca Centrale Europea (BCE) sul prossimo aumento dei tassi d’interesse a luglio. E trattasi, niente di meno, che della premier Giorgia Meloni e i suoi due vice Antonio Tajani e Matteo Salvini, rispettivamente i leader dei tre partiti di maggioranza in Parlamento. Il giorno successivo sono arrivate critiche persino dal mansueto premier portoghese Antonio Costa, che ha invocato “moderazione”.

Christine Lagarde non l’avrà presa benissimo, ma il peggio è arrivato dai dati sull’inflazione. In Germania, anziché proseguire la discesa, c’è stata una risalita al 6,4%. Persino il dato “core” è passato dal 5,4% al 5,8%. I timori di Francoforte sono stati confermati: almeno là dove l’occupazione è forte, gli aumenti salariali starebbero impedendo ai prezzi al consumo di stabilizzarsi.

Nelle stesse ore di giovedì, però, uscivano i dati sull’inflazione in altri paesi dell’Area Euro. In Italia, scendeva dal 7,6% al 6,4%, ai minimi da 14 mesi. In Spagna, addirittura, si abbassava sotto il 2%, la soglia di riferimento per la BCE. Questo è un bel grattacapo per Lagarde. E’ tenuta per mandato ad espletare una politica monetaria in funzione del dato medio dell’inflazione nell’area. Esso risulta sceso al 5,5% per il mese di giugno, sebbene il dato “core” sia risalito al 5,4%. Solo che una cosa è quando i paesi membri oscillano attorno alla media di qualche decimale, un’altra quando vi sono anche una decina di punti di differenza. E’ il caso di Spagna e Slovacchia, separati proprio da dieci punti percentuali esatti d’inflazione.

E’ vero che ogni economia ha il suo peso e contribuisce in misura differente al dato medio. Non vi è dubbio che la BCE debba tenere in maggiore considerazione la situazione in Germania che non in Estonia.

Tuttavia, c’è il serio rischio che il metro uguale per tutti mostri tutti i suoi limiti. Anche perché i dati si mostrano variegati restando tra le principali economie. In Belgio l’inflazione è scesa al 4,15%, in Olanda è risalita al 6,1% in Austria a maggio era ancora al 9%, mentre in Grecia al 2,8%, in Portogallo al 4% e a Cipro al 3%. Non solo ogni percentuale nazionale è profondamente diversa dall’altra, ma in alcuni contesti si registra una risalita, in altri una discesa.

Lagarde tra inflazione, recessione e spread

Difficile darne una lettura unitaria, anche perché la causa scatenante dell’inflazione è stata uguale per tutte le economie, cioè il boom dei prezzi di gas e petrolio. Ma ad un anno e passa di distanza, adesso le cause sono diverse. In Germania, l’inflazione sta trasmettendosi dal comparto energetico al resto delle attività produttive per il tramite di aumenti salariali congrui, cosa che non sta avvenendo affatto in Italia. Il fatto è che la piena occupazione assegna ai sindacati un potere negoziale forte, mentre nel nostro Paese la situazione è del tutto diversa. Nella penisola iberica, poi, l’isolamento energetico dovuto alla geografia ha consentito a Spagna e Portogallo di accusare in misura notevolmente inferiore del caro bollette.

Lagarde rischia di sbagliare qualsiasi cosa faccia. Se alza troppo i tassi, manderà in recessione anche economie ad oggi apparentemente lanciate nella crescita come il Sud Europa; se alza i tassi troppo poco, acuirà la crisi sociale ed economica nel Nord Europa, specie in Germania, dove la recessione c’è già. Alla fine deciderà sulla base dei numeri nel board. E quasi certamente la spunteranno i “falchi”, che hanno la maggioranza e sono politicamente più influenti. L’ago della bilancia potrà essere la Banca di Francia, che ha un forte ascendente sulla connazionale.

In tutto ciò esiste anche il rischio di una nuova crisi dei debiti sovrani.

La BCE non può ignorare il fatto che i mercati prezzino più alto il rischio fiscale a carico di paesi come l’Italia quando i tassi salgono. Se disponesse di uno scudo anti-spread automatico, incondizionato e illimitato, tale rischio sarebbe sventato sul nascere. Ma ragioni politiche impediscono di adottarlo, vale a dire la proverbiale diffidenza del Nord Europa “austero” contro il Sud “lassista”. Di questo passo Lagarde si troverebbe costretta a scegliere tra stabilità dei prezzi e stabilità finanziaria. Dati i trascorsi, sembra capacissima di non centrare l’una e l’altra.

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