Fa ancora discutere l’idea dell’Inps di tagliare le pensioni di chi vive più a lungo e innalzare, al contrario, quelle di chi campa di meno. Come si evince dal XXII Rapporto annuale dell’Inps sulle pensioni del nostro Paese, sarebbe allo studio un’importante riforma che collegherebbe l’importo dei benefici previdenziali all’aspettativa di vita di ciascun lavoratore.

Un a strada come un’altra per tagliare la spesa previdenziale di cui l’Inps è preoccupato. I problemi di gestione sono ben noti: la popolazione vive più a lungo, la natalità cala, quindi ci sono meno lavoratori che contribuiscono a sostenere le pensioni, e l’inflazione è tornata a far male.

Ma agganciare l’importo della pensione all’aspettativa di vita sarebbe cosa veramente giusta ed equa?

Pensione più bassa per chi vive più a lungo

Quindi, pensioni più basse per chi vive di più? Benché il nostro sistema pensionistico sia costellato da ingiustizie sin dalla nascita, è bene premettere che, di fatto, già diamo più soldi a chi vive di meno. Non in termini economici diretti sull’assegno, ma in termini temporali. Le donne, ad esempio, vanno in pensione prima degli uomini e quindi, a parità di importo della pensione, guadagnano di più.

Lo stesso dicasi per i lavoratori usuranti, che possono uscire dal lavoro a 61 anni e 7 mesi di età. O per i gravosi per i quali a 63 anni scatta il diritto all’anticipo pensionistico con Ape Sociale. E che dire di Opzione Donna che permette alle lavoratrici di andare in pensione a 60 anni? In relazione alla vita media di lavoratori e lavoratrici, ben si comprende che chi esce prima gode della prestazione pensionistica per più tempo rispetto a chi deve attendere i requisiti di vecchiaia a 67 anni.

E’ evidente, quindi, che si sta affrontando il problema da un punto di vista diverso, ma è già così a tutti gli effetti.

Chi vive più a lungo prende meno di ha un’aspettativa di vita più breve semplicemente perché va in pensione dopo. Una lavoratrice, ad esempio, che va in pensione a 60 anni con Opzione Donna prende meno soldi rispetto a una che ci va a 67, ma gode della prestazione per più tempo.

Chi ha pensioni più alte vive di più

Ma un altro aspetto che l’Inps sottolinea nel suo studio è il fatto che coloro che percepiscono pensioni più alte vivono meglio e più a lungo. O meglio, chi prende pensioni basse vive in media di meno di chi percepisce assegni più alti. Così un manager campa mediamente 5 anni più di un operaio a parità di sistema di calcolo della pensione.

Ecco quindi che fra le varie ipotesi di modifica ci sarebbe quella di intervenire sui coefficienti di trasformazione. Cioè quel parametro che determina in maniera lineare per tutti l’importo della pensione. Sia per gli uomini che per le donne.

Nel rapporto Inps si legge che la differenza di aspettativa di vita contrasta con l’utilizzo di un unico fattore di conversione per il calcolo delle pensioni. Il che, per coloro i cui importi contributivi si convertono in rendita, è inferiore a quello che avrebbero percepito se la loro effettiva aspettativa di vita fosse presa in considerazione. I ricchi ricevono, quindi, pensioni più alte di quanto sarebbero se i coefficienti di trasformazione tenessero conto della loro effettiva speranza di vita.

Aspettativa di vita

In buona sostanza, l’aspettativa di vita si ridurrebbe se le pensioni fossero tagliate per i più longevi. Viceversa si allungherebbe per tutti gli altri. Pertanto una revisione dei coefficienti di trasformazione, calibrati su diversi aspetti legati alla qualità della vita, sarebbe più giusto ed equo dal punto di vista sociale.

Tuttavia il progetto appare irrealizzabile per via del fatto che i contributi versati non possono fruttare in maniera diversa. La trasformazione del capitale in rendita deve essere uguale per tutti. Viceversa, il rischio sarebbe che le condizioni sociali in generale peggiorino anziché migliorare.