Le pensioni non sono uguali né eque per tutti. Il nostro ordinamento previdenziale è costellato di ingiustizie e iniquità che si trascinano da anni e non sempre vengono sanati dal legislatore. Una di queste ingiustizie, di cui poco si parla, riguarda il coefficiente di trasformazione. Ovvero quel parametro che serve a trasformare i contributi in pensione.

Il coefficiente di trasformazione è fondamentale per determinare l’importo della pensione nel sistema contributivo che oggi è diventato preponderante. Quasi tutte le pensioni sono, infatti, calcolate col sistema misto di cui la parte contributiva incide ormai per oltre due terzi sul calcolo totale della rendita finale.

Il coefficiente di trasformazione, come funziona

Ma cosa è esattamente il coefficiente di trasformazione? Si tratta di una percentuale variabile che si applica al montante contributivo per determinare l’importo della pensione al momento della domanda. Varia in base all’età anagrafica: più alta è l’età, maggiore è il coefficiente e di conseguenza la pensione. Così, a parità di contributi, un lavoratore che va in pensione a 67 anni prenderà di più rispetto a un lavoratore che ci va a 66. Sia per gli uomini che per le donne.

Da sapere, inoltre, che i coefficienti di trasformazione non sono statici, ma sono aggiornati periodicamente, ogni due anni, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. In base ai dati statistici forniti dall’Istat sulla speranza di vita della popolazione. In questo senso, però, i parametri risultano inversamente proporzionali all’aspettativa di vita: se questa diminuisce, la pensione aumenta e viceversa.

Per il biennio 2023-24, ad esempio, i coefficienti di trasformazione sono lievemente aumentati rispetto agli anni precedenti. Il periodo pandemico del Covid-19 ha infatti aumentato il tasso di mortalità facendo scendere la speranza di vita generale della popolazione.

Pensione e aspettativa di vita

Quindi, in base ai dati ufficiali, valevoli per il 2023-2024, da quest’anno le nuove pensioni sono un po’ più alte rispetto al passato quando la vita media era più lunga.

Ciò significa che, a parità di contributi versati, chi va in pensione oggi avrà una pensione leggermente più alta rispetto a chi vi è andato l’anno scorso.

Più precisamente, il coefficiente di trasformazione per chi va in pensione coi requisiti di vecchiaia a 67 anni, è salito da 5,575% a 5,723%. Su un montante contributivo pari a 300 mila euro, ad esempio, questo comporta un incremento della rendita annuale di 440 euro circa (34 euro al mese in più per tredici mensilità).

I coefficienti di trasformazione cambiano il valore della pensione

E veniamo al punto dolente della questione. Il coefficiente di trasformazione, come detto, è calcolato in base alla speranza di vita della popolazione. Si tratta di un parametro uguale per donne e uomini, ma a tutti gli effetti le prime campano più a lungo dei secondi. Quindi percepiscono una pensione in misura diversa, rapportata al periodo di godimento della rendita, rispetto agli uomini.

Il dato nazionale aggiornato a fine 2022 parla di una speranza di vita media di 82,4 anni. Ma mentre per gli uomini è di 80,1 anni, per le donne è di 84,7 anni. Ben 3 anni e mezzo in più. Eppure il coefficiente di trasformazione determinato dal Mef è uguale per tutti.

Per gli esperti questo è un sistema di calcolo sbagliato perché determina delle diseguaglianze di fondo nel godimento della pensione. Penalizzazioni per gli uomini che campano di meno o bonus per le donne che campano di più; dipende da come si vuole vedere il bicchiere, se mezzo pieno o mezzo vuoto. Ne consegue che le pensioni, così determinate, sono inique essendoci mediamente più di tre anni di differenza nel godimento della pensione fra uomini e donne. La differenza di aspettativa di vita fra i due sessi dovrebbe infatti riflettersi anche sui valori dei coefficienti di trasformazione.

Ma non è così.

Questo è particolarmente evidente e ingiusto in Opzione Donna laddove alle lavoratrici che vanno in pensione anticipata è applicato un coefficiente di trasformazione inappropriato. A 60 anni, ad esempio, è applicato un valore al montante contributivo del 4,615%. Risultato che scaturisce dalla speranza di vita media determinato anche dagli uomini (che non hanno diritto alla pensione). Ma, in questo caso, dovrebbe riguardare solo le donne e quindi essere più basso visto che campano più a lungo.