Se la grande ondata di dimissioni continua a colpire, le ragioni sono tante. Una di queste, però, è legata ai troppi straordinari non pagati che moltissimi dipendenti sono costretti a fare. Le statistiche parlano chiaro: secondo un’indagine dell’Inapp, ovvero l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, circa la metà degli italiani lavora anche nei cosiddetti orari “antisociali”. Ovvero: di sabato, domenica, nei giorni festivi e di sera/notte, fasce generalmente dedicate alla vita privata (e quindi, a quella sociale).

Certo, l’indagine prende in considerazione anche quelle professioni che, per loro stessa natura, si basano su turni, ma comunque rendono l’insieme molto significativo.

Citando i numeri precisi, secondo l’Inapp il 60% dei lavoratori subordinati fa lavoro straordinario, ma un quarto di questi non ottiene un supplemento di paga per le ore in più. Questo è uno dei tanti motivi per i quali molti danno le dimissioni in cerca di opportunità migliori. Dopo la pandemia, in piena crisi economica e di picco dei costi della vita, molti hanno riscoperto le vere priorità. Tra queste, una paga adeguata al lavoro svolto, un ambiente lavorativo che premi gli sforzi e la possibilità di conciliare la vita privata con quella professionale senza sanguinosi sacrifici.

I numeri legati al lavoro notturno e festivo e le differenze tra sessi

Per snocciola un po’ di numeri legati agli straordinari, non pagati o comunque corrisposti, l’Inapp ha analizzato un campione di 45mila individui che fa riferimento al 2021. Ebbene, le percentuali parlano chiaro. Il 15,9% dei lavoratori dipendenti totali è obbligato a lavorare oltre l’orario stabilito dal contratto senza alcuna retribuzione aggiuntiva. Un vero e proprio sfruttamento su cui purtroppo sono in troppi a chiudere un occhio. In molti ambienti è considerato poco professionale ribellarsi a queste dinamiche, con conseguenze disastrose sulla qualità della vita dei dipendenti.

Proseguendo con l’analisi, il 18,6% dei dipendenti (ovvero 3,2 miliardi di persone) lavora sia di notte che nei festivi. Il 9,1% di essi anche il sabato e i festivi (ma non la notte). Il 19,3% di questi, invece, lavora anche la notte (ma non di sabato o festivi). Dati che, secondo i responsabili della ricerca, vanno contestualizzati con la diffusione dello smart working, ma comunque assicurano una fotografia precisa sul fenomeno.

Come sottolineato dal Sole 24 Ore, simili statistiche erano state fornite anche dall’Eurostat. Analizzando il 2021, tra tutti gli occupati (dipendenti e non), il 34,2% lavora il sabato. Il 14,3% di questi lavora la domenica, il 12,3% la sera e il 5,9% la notte. Vi sono alcune differenze tra sessi. Secondo l’Inapp, gli uomini sono più facilmente costretti al lavoro notturno o a quello sia notturno che nei festivi. Le donne lavorano maggiormente il sabato o nei festivi.

Straordinari non pagati: orari “anti-sociali” e difficoltà nell’uso dei permessi

A descrivere il fenomeno di ha pensato Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp:

“Spesso la domanda di lavoro richiede disponibilità che confliggono con le esigenze di vita. È vero che per alcuni settori economici, come il commercio o la sanità, e per alcune professioni, come quelle dei servizi, il lavoro notturno o nei festivi è connaturato alla natura della prestazione, ma è anche vero che questa modalità sembra diffondersi anche dove non è strettamente necessaria. È urgente avviare una seria riflessione sull’organizzazione e articolazione del tempo di lavoro, ma anche sulla sua quantità e distribuzione”.

Ma soprattutto, non dimentichiamo, punire la pratica degli straordinari non pagati. Una volta per tutte. Vediamo come sono distribuite le percentuali descritte in termini di professioni. Gli orari “antisociali” colpiscono in particolare i sanitari, le forze dell’ordine, gli impiegati nella ristorazione, quelli del commercio e quelli che operano nei call center. Il fenomeno riguarda anche gli impiegati dell’industria e dell’agricoltura, spesso soggetti a turni.

A causa dello smart working e dell’errata (ma furbetta) concezione che il lavoratore debba sempre essere collegato, la maggior parte di essi rimane operativo anche la sera e nei fine settimana.

Come sottolineato da Fadda:

“La combinazione di nuove tecnologie, elevate competenze e appropriati modelli organizzativi – sottolinea la ricerca – dovrebbe generare livelli di produttività che non rendano necessari tempi di lavoro “disumani”, ma garantiscano occupazioni di qualità: ben retribuite, tutelate, ad alta produttività”.

Eppure, intanto, gli orari si allungano senza sosta e il 21,3% degli occupati, circa 4,7 milioni, dice di non poter (spesso perché l’azienda li boccia) o non volere prendere permessi per motivi personali. Gli uomini hanno una maggiore libertà nel loro utilizzo, mentre alle donne vengono più facilmente negati. Un panorama tutt’altro che incoraggiante.