Il licenziamento è un tema sempre molto delicato, in ambito sia pubblico che privato. Recentemente, la Cassazione ha previsto la possibilità di licenziamento per scarso rendimento, ovvero per il dipendente che svolge la sua prestazione in maniera non idonea alla filosofia aziendale e agli obiettivi prefissati. Ma anche in questo caso, la questione resta sempre molto spinosa.

Un argomento che invece è stato più volte affrontato in Cassazione e quindi può avvalersi di un corposo supporto di giurisprudenza è quello relativo al licenziamento per troppi giorni di malattia.

Il datore può licenziare un dipendente che si assenta per un periodo prolungato dovuto a motivi di salute?

Licenziamento per malattia: cosa dice la legge

L’articolo 2110 comma 2 del Codice Civile stabilisce che il datore di lavoro può licenziare il dipendente, se questi è assente per malattia o infortunio, solo dopo che sia trascorso il cosiddetto periodo di comporto, un tempo stabilito per legge.

Se il dipendente non supera questo periodo è tutelato e non può quindi essere licenziato.

Tuttavia, si chiede un ulteriore approfondimento: è possibile perdere il lavoro se si è in malattia con frequenza molto alta e per tempi molto lunghi, anche se mai superiori al periodo di comporto?

In questo caso, il datore di lavoro potrebbe appellarsi al licenziamento per scarso rendimento?

Il parere della Cassazione

Anche in questo caso, la Cassazione è stata molto chiara, come riporta la recente sentenza n. 36188/2022: non è possibile, senza alcuna eccezione, interrompere un rapporto di lavoro, in via unilaterale, se la durata dell’assenza per malattia o infortunio rientra nei termini stabiliti dalla legge.

Quindi, per completezza, l’assenza dal posto di lavoro, anche se prolungata e frequente, non equivale automaticamente a scarso rendimento. Anche se, di fatto, il dipendente non riesce a completare alcun obiettivo.  Non può essere intimato il licenziamento per assenza congrua al periodo di comporto.

Secondo il legislatore, infatti, nel tempo della malattia la prestazione non configura inadempimento; più correttamente è non utilità della prestazione.

Nonostante i possibili disagi causati da un’assenza prolungata di un dipendente, il valore primario da tutelare è la salute, ancora prima del profitto.

Chi perde il lavoro per malattia, se non ha superato i giorni di assenza previsti dal periodo di comporto, deve considerare nullo il provvedimento e chiedere, oltre al reintegro sul posto, anche un risarcimento del danno.