Il lavoratore che in caso di malattia supera il periodo di comporto può essere licenziato. Il periodo di comporto  è il periodo durante il quale, anche in caso di malattia prolungata, il dipendente ha il diritto alla conservazione del posto di lavoro. A determinare la durata del periodo di comporto è la contrattazione collettiva della categoria e aziendale. Il licenziamento, se non per giusta causa o per giustificato motivo oggettivo, effettuato ad un lavoratore assente nel periodo di comporto è, quindi, inefficace.

Superamento del periodo di comporto: il licenziamento può non essere immediato

Ma cosa accade al lavoratore che supera il periodo di comporto in caso di malattia? Scaduta la finestra temporale prevista dai contratti collettivi, il licenziamento è ammesso a meno che lo stato di salute non dipenda dalle violazioni di misure per la tutela della salute sul lavoro.

Quando il licenziamento viene intimato subito, al superamento della soglia prevista dal periodo di comporto, il datore di lavoro non ha l’obbligo di fornire alcuna prova sulle motivazioni dello stesso e l’onere della prova del dimostrate che il licenziamento sia dovuto alla protratta assenza ricade sul lavoratore che decida di impugnare il licenziamento. Se, invece, il licenziamento avviene in un momento successivo il datore di lavoro è tenuto a fornire la prova del fatto che il recesso del contratto è dovuto alla prolungata assenza dal lavoro.

Il datore di lavoro, però, così come stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 16462 del 2015, può consentire la ripresa del lavoro anche nel caso il lavoratore abbia fatto molte assenze superando il periodo di comporto, senza per questo dover rinunciare al diritto di licenziamento per il superamento del limiti imposto dal comporto. Ma al momento del licenziamento il datore di lavoro dovrà dimostrare che il recesso del contratto avviene effettivamente dal superamento del periodo di comporto.

Superamento periodo di comporto: a chi spetta l’onere della prova?

A chiarirlo è anche una sentenza della Suprema Corte del 2000 nella quale si ribadisce che “In ipotesi di avvenuto superamento del periodo di comporto, l’accettazione, da parte del datore di lavoro, della ripresa della attività lavorativa del dipendente non equivale di per sé a rinuncia al diritto di recedere dal rapporto, ai sensi dell’art.

2110 cod. civ., e quindi non preclude (salvo diversa previsione della disciplina collettiva) l’esercizio di tale diritto, ferma peraltro la necessità della sussistenza di un nesso causale fra la intimazione del licenziamento ed il fatto (superamento del periodo di comporto) addotto a sua giustificazione”.

Nella sentenza si può leggere anche che l’onere della prova nello stabilire il nesso, in questo, caso, è a carico del datore di lavoro se il licenziamento avviene dopo un apprezzabile periodo di tempo, Se il licenziamento, invece, avviene dopo pochi giorni dalla riammissioni l’onere di dimostrare che la riammissione costituisce una tacita manifestazione della rinuncia da parte del datore di lavoro al diritto di licenziamento, spetta al lavoratore.

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