Oggi, più che mai, lo stato del lavoro femminile è sotto i riflettori. L’8 marzo è la Festa della Donna, l’occasione perfetta per fare qualche bilancio in ogni ambito, soprattutto in quello lavorativo. Dopo aver analizzato lo stato dell’occupazione femminile e del gender pay gap in Italia e a livello globale, serve un approfondimento per capire meglio cosa accada. Ieri abbiamo infatti gioito (compostamente e per pochi istanti) per la piccola ripresa in percentuale dei ruoli ricoperti da donne post pandemia nel Bel Paese in base ai dati Istat.

Purtroppo, però, persistono grossissime differenze tra regioni. Insomma, il succo del discorso fatto ieri è che le donne fanno ancora più fatica degli uomini a trovare lavoro.

Oggi, però, andiamo ancora più a fondo per capire il perché. Ci occupiamo di una situazione in particolare che si sta trasformando in piaga: la maternità allontana le donne dal lavoro. Scopriamo le percentuali e la portata di questa fenomeno che va affrontato.

Lavoro femminile: le donne che smettono di lavorare dopo un figlio

Non è certo una novità: la maternità, in Italia, diventa un ostacolo alla carriera. Sebbene l’articolo 27 del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna – Dlgs 198/2006 non lasci spazio a dubbi, esistono ancora le aziende che chiedono, a voce o per iscritto, se la candidata ha intenzione di avere figli. Un atteggiamento non solo illegale, ma anche profondamente deprecabile. Il terrore che una dipendente vada in maternità porta tante altre aziende a proporre più facilmente collaborazioni non continuative. Una situazione che ha ovvie conseguenze.

Secondo il Rapporto Plus 2022 «Comprendere la complessità del lavoro», a cura dell’Inapp, scopriamo un po’ di numeri a riguardo. L’indagine da cui nasce il rapporto è stata condotta su un campione di 45.000 persone con un’età che spazia dai 18 ai 74 anni. Ciò che traspare è che quasi una donna su 5 tra i 18 e i 49 anni non lavora più dopo la nascita di un figlio, ovvero il 18% delle lavoratrici italiane totali.

Solo il 43,6% continua a lavorare, ma la percentuale precipita al 29% nel Sud e nelle Isole.

Perché accade? Facile da intuire: il 52% delle donne deve lasciare perché non trova modo e risorse per conciliare lavoro e cura dei figli. Al 29% di esse non viene proprio rinnovato il contratto o vengono licenziate. Il 19% delle donne, invece, abbandona in seguito a valutazioni di opportunità e convenienza economica. Il 31,8% delle donne non ha mai lavorato né prima né dopo la maternità e solo il 6,6% trova lavoro dopo la nascita di un figlio. Lasciano il lavoro soprattutto le donne con livelli di istruzione più bassi: il 16% delle laureate contro il 21% delle madri con la licenza media.

Perché la maternità diventa un ostacolo alla carriera

Come sottolineato da Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp, analizzando le percentuali sul lavoro femminile:

«In Italia la maternità continua a rappresentare una causa strutturale di caduta della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Il Paese non può più sopportare, oltre alla “fuga di cervelli”, anche questa altra forma di dispersione del capitale umano legata alla mancata valorizzazione e sostegno dell’occupazione femminile».

L’indagine svela che, nelle famiglie composte da un solo genitore, le percentuali di uscita dal mercato del lavoro dopo la maternità sono più alte: 23% rispetto al 18% tra le coppie. Tra quest’ultime, invece, aumenta la permanenza delle donne in uno stato di disoccupazione: il 32% rispetto al 20% tra monogenitori. Intuire le ragioni dietro tutto ciò è semplice se pensiamo alla cronica mancanza di posti negli asili nido e ai costi sia degli asili che delle baby sitter difficilmente sostenibili da una famiglia media. Se poi manca il supporto dei nonni, la frittata è fatta.

«La scarsità di servizi per la prima infanzia è confermata dalla percentuale di genitori occupati che dichiara di non aver mandato i propri figli tra 0 e 36 mesi all’asilo nido (56%).

Tra coloro che mandano i figli al nido, il 48% ha usufruito del servizio pubblico, il 40% ha utilizzato un asilo nido privato».

Così prosegue il rapporto. L’unica forma di supporto per molti, il 58% delle madri, sono i nonni che si prestano a curare i nipoti durante il giorno.

La flessibilità diventa essenziale

Il rapporto dell’Inapp indaga anche le soluzioni alla dispersione del lavoro femminile cercando proposte dagli intervistati. Un quarto di questi pensa che un orario di lavoro flessibile sia importantissimo. Per il 10%, con una maggioranza di donne, sarebbero risolutive forme di telelavoro o smart working. Il part-time è ritenuto un’ottima soluzione dal 12,4% dalle donne rispetto al 7,9% degli uomini. Ancora una volta sono di più le donne a sfruttare i congedi parentali: il 68,6% contro il 26,9% uomini.

Si intuisce quindi come l’accudimento di figli e genitori anziani e/o familiari malati pesino in particolare sulle donne, creando un ostacolo alla crescita del lavoro femminile. Come aggiunge Sebastiano Fadda:

«Il cambio richiede un’organica convergenza delle politiche fiscali, di welfare, per la famiglia per sostenere le scelte di procreare e allevare figli e l’effettiva parità di genere in tutta la vita lavorativa e sociale, e anche pensionistica».