Dall’1 gennaio del 2026, salvo sorprese, sul secondo scaglione di reddito tra 28.000 e 50.000 euro l’aliquota scenderà dal 35% al 33%. Un beneficio fino a 440 euro per ciascun contribuente con redditi fino a 200.000 euro, soglia oltre la quale scatterebbe la sterilizzazione del taglio per effetto di quanto previsto dalla legge di Bilancio. IRPEF più leggera per circa 13 milioni di contribuenti, anche se in questi anni l’inflazione ha divorato i precedenti benefici fiscali.
Fiscal drag in azione
Il fenomeno del “drenaggio fiscale“ è arcinoto ai governi di tutto il mondo. Esso scaturisce dal combinato tra inflazione e aliquote sui redditi progressive. Succede che i redditi tendano a crescere in termini nominali, ricadendo con il tempo in scaglioni più alti.
I contribuenti si ritrovano a pagare una percentuale superiore rispetto a prima, pur non necessariamente avendo migliorato il proprio tenore di vita in termini reali.
Facciamo un esempio con la simulazione di un reddito di 30.000 euro dichiarato nel 2021. Stiamo escludendo dal calcolo ogni tipo di detrazioni per ragioni di semplicità. In quell’anno, le aliquote erano ancora cinque. La prima del 23% insisteva sui primi 15.000 euro, la seconda del 27% tra 15.001 e 28.000 euro e la terza del 38% tra 28.001 e 55.000 euro. Queste soltanto ci servono per il calcolo dell’imposta che il contribuente pagò nell’anno considerato. Facendo un rapido conto, la somma da versare al fisco fu allora di 7.720 euro, il 25,7% del reddito dichiarato.
Simulazione con nuove aliquote
Supponiamo che lo stesso contribuente abbia beneficiato in questi anni di un incremento del suo reddito esattamente in linea con l’inflazione. E’ riuscito a conservare intatto il suo potere di acquisto, sebbene non stia meglio di prima.
Al 30 settembre scorso, ciò implicava un aumento del 16,9%. In sostanza, egli per l’anno in corso si appresta a dichiarare 35.070 euro. Nel frattempo, gli scaglioni sono stati ridotti a tre e le prime aliquote abbassate. Sui primi 28.000 euro pagherà il 23% e sui restanti 7.070 euro il 35%. Totale: 8.915 euro. Fanno il 25,4% del reddito dichiarato.
Come potete notare, il beneficio dei tagli all’IRPEF è stato quasi azzerato dell’inflazione. Tizio guadagna esattamente quanto nel 2021 in termini reali. Eppure paga quasi quanto prima al fisco, malgrado i tagli alle tasse. Se ci fosse stata l’indicizzazione degli scaglioni all’inflazione, egli oggi avrebbe versato il 35% solo sul reddito eccedente i 32.732 euro (28.000 euro del 2021, aumentati del 16,9%). Avrebbe pagato in tutto 8.347 euro, il 23,8%. Un risparmio di quasi il 2%, equivalente a quasi 570 euro.
Legare IRPEF all’inflazione
Con la “flat tax” questo problema non si porrebbe e sarebbe minimo anche nel caso in cui gli scaglioni fossero così ampi da far ricadere alla frontiera tra due di essi pochi contribuenti. Di anno in anno, l’inflazione accresce l’imponibile IRPEF senza che ce ne accorgiamo. E’ urgente una riforma che indicizzi gli scaglioni, al fine di impedire che la pressione fiscale aumenti senza neppure passare per un’autorizzazione del Parlamento. Prima ancora di ipotizzare tagli alle tasse, bisogna accertarsi che i contribuenti non ne paghino di più per puro automatismo.
giuseppe.timpone@investireoggi.it