Guerra tra Israele e Iran, per il petrolio c’è ancora speranza di un esito positivo

La guerra tra Israele e Iran sta avendo un impatto visibile sul mercato del petrolio, anche se ancora possiamo sperare in un esito positivo.
1 mese fa
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Guerra e petrolio, quali conseguenze?
Guerra e petrolio, quali conseguenze? © Licenza Creative Commons

Non ha aiutato i mercati il ritorno anticipato a Washington del presidente americano Donald Trump dal G7 in Canada. Smentita l’ipotesi di una tregua (“qualcosa di molto più grosso” ha postato il tycoon), gli investitori hanno iniziato a scontare lo scenario di un’escalation nella guerra tra Israele e Iran con il petrolio (Brent) tornato a salire a ridosso dei 75 dollari al barile. Era stato a meno di 65 dollari nelle settimane precedenti. L’impennata c’è, anche se non catastrofica finora.

Escluso per ora scenario estremo

L’Iran produce la media di 3,3 milioni di barili al giorno, qualcosa come il 3,3% dell’offerta mondiale complessiva.

Con la guerra in corso c’è il rischio che il petrolio estratto si riduca. Da cui il boom delle quotazioni. Lo scenario più estremo, ossia la chiusura dello Stretto di Hormuz, per fortuna ad oggi non è stato prezzato. Priverebbe il pianeta di 17 milioni di barili al giorno, costringendo le petroliere ad allungare i tragitti per arrivare ai mercati di sbocco in Asia ed Europa. Lì sì che le quotazioni esploderebbero fino a mandare a tappeto le economie importatrici tra recessione e inflazione a due cifre.

Due scenari positivi nel medio-lungo termine

Per quanto ora sembri impossibili, la guerra in corso può portare paradossalmente a un sollievo per il mercato del petrolio nel medio-lungo periodo. Ci sono due possibili esiti per questo conflitto. Uno consiste nella caduta del regime dell’ayatollah. Si specula su un salvacondotto per Mosca in favore di Khamenei, i suoi familiari e gli stretti collaboratori. Il “regime change” sarebbe un’ottima notizia dal punto di vista geopolitico.

Al potere a Teheran arriverebbe una classe politica non apertamente ostile all’Occidente, che reagirebbe probabilmente allentando o annullando del tutto le sanzioni.

Un’ipotesi meno radicale sarebbe che Khamenei e il governo riaprano le trattative con gli Stati Uniti per giungere al più presto a un accordo sul nucleare. Voci già girate nella serata di lunedì. Anche in questo caso la contropartita per Teheran sarebbe l’allentamento delle sanzioni. Trump lo dichiara espressamente da settimane. Per il mercato del petrolio un esito favorevole: l’offerta nel peggiore dei casi non diminuirebbe, mentre potrebbe aumentare alla luce del sole e senza più gli escamotage messi in atto da alleati compiacenti come la Cina con il rebranding delle navi petroliere.

Guerra lunga negativa per petrolio

Ovviamente, resta sempre in piedi la possibilità che la guerra duri a lungo e che impatti sul petrolio in modo negativo. I raid israeliani rischiano di arrestare le estrazioni dai pozzi per ragioni di sicurezza, portando al calo dell’offerta globale. A meno che essa non venga compensata da aumenti di pari entità dal resto dell’OPEC. Una mano la darebbero i sauditi, desiderosi di punire il nemico storico e al contempo aiutare l’alleato americano come da accordi recenti siglati a Riad. L’importante è che questa fase si concluda al più presto.

L’incertezza colpisce la crescita economica e innervosisce i mercati, che tra dazi, Palestina e Ucraina avevano già il bel da farsi.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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