Madame Christine Lagarde ha dichiarato che l’euro ha l’opportunità storica di diventare un riferimento mondiale in alternativa al dollaro. Il governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, ammette che in passato gli errori commessi dall’Eurozona hanno impedito che ciò accadesse. E mentre si valutano le azioni più efficaci per giungere a questo obiettivo ambizioso, una cosa ci sentiamo di suggerire con assoluta certezza: la lotta all’inflazione dovrà fare parte di esse. La storia dei governi deboli italiani deve fungere da monito per ciò che potrebbe accadere.
Governi deboli fonte di instabilità dei prezzi
Nella letteratura economica, per governi deboli s’intende quei policy maker incapaci di mantenere la stabilità dei prezzi come promesso. E tale debolezza deriva essenzialmente da inclinazioni culturali e/o dall’assenza di una maggioranza solida in Parlamento e tra l’opinione pubblica. L’Italia ne è stata la patria.
Dalla nascita della Repubblica nel 1948 ad oggi si sono succeduti 68 governi capeggiati da 31 presidenti del Consiglio. Una frequenza che non ha eguali nel mondo occidentale e che denota una patologia del nostro sistema politico-istituzionale.
Fine del miracolo economico
Furono due i decenni chiave, nel corso dei quali l’economia italiana passò dal miracolo post-bellico alla dannazione. Gli anni Settanta e Ottanta si mostrarono impegnativi per tutti gli stati, a causa dell’elevato conflitto sociale interno seguito al boom dell’inflazione. Questo conseguì alle due crisi petrolifere del 1973 e del 1979, a loro volta frutto delle tensioni geopolitiche nel Medio Oriente. Nel 1971 l’amministrazione Nixon annunciava la fine degli Accordi di Bretton Woods, innescando una forte instabilità valutaria.
Nel ventennio considerato, il potere di acquisto delle varie valute crollò. Limitandoci alle economie del G7, ecco quale fu il tasso d’inflazione cumulato tra il 1970 e il 1990. Tra parentesi è indicato il tasso d’inflazione medio annuo:
- Francia 361,62 (7,95%)
- Italia 814,26 (11,7%)
- Germania 112,17 (3,83%)
- USA 236,86 (6,26%)
- UK 580,57 (10,06%)
- Canada 285,97 (6,98%)
- Giappone 189,32 (5,46%)
Inflazione italiana al top nel G7
Come potete ben notare, l’Italia fu l’economia che subì maggiormente l’inflazione. Rispetto alla Germania, che esibì la performance migliore, i prezzi al consumo da noi crebbero a un ritmo medio triplo. Male anche il Regno Unito, mentre il Giappone si distinse quale secondo membro migliore del consesso. Queste divergenze profonde ebbero contraccolpi pesanti sui tassi di cambio. Dal grafico di cui sotto noterete che il cambio tra dollaro e marco tedesco, fissato fino ai primi mesi del 1971 a 3,63, piombò a 1,50 alla fine del 1990. In sostanza, la valuta tedesca aveva guadagnato oltre il 140% contro la divisa americana.
Per la lira italiana andò all’opposto. Data la maggiore inflazione, il nostro cambio perse il 45% in 20 anni contro il dollaro americano. Passò da 623 a 1.129 nel periodo considerato.
E naturalmente stessa sorte, anzi peggio, toccò al cambio tra marco tedesco e lira italiana: -77%.
Passò da 171 a 754.
Reazione inadeguata di Bankitalia
Cosa provocò la più alta inflazione italiana? Parlavamo all’inizio di governi deboli. Ed è proprio questo il caso. La narrazione di comodo sostiene che pagammo più degli altri il caro petrolio, essendo un’economia importatrice di energia. A parte il fatto che questa condizione non fu un destino ineluttabile, bensì frutto di scelte scellerate (per non dire di non scelte), la verità è che la reazione della Banca d’Italia fu vistosamente insufficiente. E lo dimostrano i due seguenti grafici:
Come possiamo notare, sia la Bundesbank che Bankitalia fissarono i tassi di sconto fino al 9% nel 1974. Con la differenza che l’inflazione media italiana fu quell’anno del 19% e quella tedesca al 7%. In termini reali, i tassi italiani stavano al -10% e quelli tedeschi al +2%. L’Italia si comportò in modo affatto credibile contro l’instabilità dei prezzi. Perché? I governi deboli per l’appunto. Negli anni Settanta e Ottanta se ne succedettero 25, guidati da 11 presidenti del Consiglio differenti. Una situazione ridicola con riflessi spaventosamente negativi per l’economia italiana.
Governi deboli e tensioni sociali
Nessuno durò il tempo sufficiente di impostare una politica a medio-lungo termine. Soprattutto, Bankitalia non ricevette l’avallo politico per alzare i tassi in misura appropriata. Azioni del genere creano malcontento, perché all’impatto si traducono nella contrazione del credito all’economia e una possibile recessione. Governi strutturalmente deboli non potevano permettersi neanche pochi mesi di impopolarità, avendo già a che fare con tensioni sociali molto forti. Questi furono gli anni del brigatismo rosso e nero, in cui si sparava per le strade delle città. Come dimenticare il rapimento e l’uccisione dell’ex premier Aldo Moro?
La risposta inadeguata contro l’inflazione, unitamente a una gestione criminale dei conti pubblici, decretarono la fine del miracolo economico. La lira italiana, che nel 1966 aveva vinto l’Oscar per una delle valute più stabili al mondo, divenne sinonimo di carta straccia.
Il debito esplose, la credibilità del sistema Paese venne azzerata. I governi deboli avevano trasformato rapidamente l’Italietta in una macchietta internazionale. La ripresa della crescita nella seconda metà degli anni Ottanta fu un’illusione passeggera. Il Bel Paese aveva perso la fiducia di consumatori, lavoratori, imprese e risparmiatori. Fu l’inizio delle convulsioni che durano a tutt’oggi. Il “divorzio” tra Bankitalia e Tesoro del 1981 era arrivato tardi.