Alla vigilia della importante riforma pensioni che il governo sta cercando di varare per il 2024, si torna a parlare di sprechi e privilegi. A spalancare una porta aperta è il presidente dell’Inps Pasquale Tridico all’indomani della presentazione del libro “Il Lavoro di oggi la pensione di domani”. Scritto con il giornalista del Corriere della Sera Enrico Marro.

Nel libro si punta il dito per l’ennesima volta contro quello che è definisce uno scempio del sistema pensionistico italiano negli anni 70.

Cioè, le baby pensioni, quei trattamenti concessi tanto allegramente e con facilità dal governo Rumor del 1973 come promessa elettorale. Un disastro che paghiamo ancor oggi e impedisce allo Stato di approntare riforme appropriate a un sistema ingiuso e iniquo.

La grande abbuffata degli anni 70-80

Introdotte nel 1973, le baby pensioni hanno subito ritocchi legislativi fino al 1992 (governo Amato) per poi essere definitivamente abolite con la riforma Dini nel 1995. Ai tempi di Craxi si andava in pensione con 19 anni, 6 mesi e 1 giorni di lavoro, ma all’inizio, negli anni ’70, anche con soli 9 anni, 6 mesi e 1 giorno.

Robe da non credere se si pensa che oggi, con le regole della Fornero, si va in pensione a 67 anni o con almeno 42 anni e 10 mesi di contributi versati (uno in meno per le donne). Negli anni ‘70-’80, quindi, fu concepito un vero e proprio sistema di regalie di denaro pubblico. Sull’onda della veloce crescita del benessere in Italia, della crescita demografica e dell’espansione economica.

La classe politica, instabile e poco lungimirante, d’altro canto – si apprende dal libro di Tridico –  per conservare il consenso popolare prometteva pensioni in cambio di voti. Il risultato fu che il debito pubblico passò dal 40% al 125% del Pil nel giro di 25 anni. Fino a quando non intervenne il governo Dini nel 1995 a fermare tutto.

Baby pensioni, quanto ci costano

Detto questo, le baby pensioni – spiega Tridico nel libro – ci costano ancora oggi un sacco di soldi.

  Circa 256 mila i beneficiari per un costo che attualmente raggiunge i 102 miliardi e che sale a 130 miliardi aggiungendo gli assegni nel frattempo “eliminati”.

Un buco enorme che abbiamo pagato con innalzamento dell’età pensionabile e con tagli alle rivalutazioni degli assegni più alti. Il sistema di calcolo della pensione baby a quei tempi avveniva esclusivamente col sistema retributivo (poi riformato nel 1995 dal governo Dini). Un gravame enorme se si pensa che migliaia di queste persone percepiscono la pensione da oltre 40 anni.

A conti fatti, solo una piccola parte dei versamenti effettuati nelle casse previdenziali poteva giustificare l’importo della pensione. Rendita iquidata con pochi anni di lavoro in relazione alle aspettative di vita. Anche perché la media dei ratei mensili delle baby pensioni ammonta a 1.152 euro per le donne e 1.335 euro per gli uomini, per una media di 1.187 euro. Una cifra superiore alla media (1.153 euro) delle pensioni in pagate nel 2022.