Un bonus lavoro fino a 71 anni. NON Quota 103 con bonus Maroni o le varie quote 100 e 102. Ciò è quello che servirebbe al sistema pensionistico italiano per incentivare a restare al lavoro anche avendo raggiunto i requisiti.

Lo evidenzia il Centro Studi Itinerari Previdenziali nell’11° rapporto “”Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2022″.

Da Quota 100 a 103

Oggi diverse sono le forme di pensionamento anticipato. Alcune sono tramontate ma restano cristallizzate. Altre sono ancora in essere (si veda, ad esempio, Opzione donna e Ape sociale).

Ad esempio, sono diritti cristallizzati Quota 100 e Quota 102.

La prima permette il pensionamento a chi, entro il 31 dicembre 2021, ha maturato 38 anni di contributi e 62 anni di età. Chi a quella data aveva raggiunto detti requisiti ha potuto scegliere se andarsene oppure restare. Coloro che hanno deciso di restare possono sempre lasciare il mondo del lavoro sfruttando il diritto ormai acquisito.

A Quota 100 è succeduta Quota 102. Ossia la possibilità di andare in pensione anticipata con 38 anni di contributi e 64 anni di età. Condizioni, queste, da maturare entro il 31 dicembre 2022. Anche tale diritto è cristallizzato.

Poi, nel 2023, è giunta Quota 103. Vale a dire chance di pensionamento con 41 anni di contributi e 62 anni di età anagrafica. In tal caso a differenza di 100 e 102, chi pur avendo i requisiti decide di restare nel mondo dell’occupazione è premiato con il c.d. bonus Maroni. In sintesi il lavoratore NON vede trattenersi in busta paga la quota contributiva (previdenziale) a proprio carico. Uno sgravio del 9,19% a cui si aggiunge anche l’eventuale contributo aggiuntivo IVS (1%). Dunque, una busta paga più alta.

Non un bonus lavoro fino a 71 anni, quindi, ma un bonus lavoro fino a che si decide di restare. Il contro di questa scelta è che la quota di contributi non trattenuta non finisce nel montante contributivo.

Pertanto, un assegno pensionistico futuro più basso. A ogni modo, il bonus Maroni non è un obbligo ma una facoltà. Ne consegue che si può decidere di non andare in pensione anticipata e di non godere dell’incentivo.

Bonus lavoro fino a 71 anni la soluzione

Per il Centro Studi Itinerari Previdenziale, invece, quello che servirebbe è proprio un bonus lavoro fino a 71 anni. Un superbonus insomma. In dettaglio, secondo quanto si evince dal rapporto menzionato in premessa, in virtù del pesante invecchiamento della popolazione occorrerebbe in primis posticipare i requisiti di pensionamento applicando i due stabilizzatori automatici della spesa per pensioni, vale a dire:

  • l’adeguamento dei requisiti di età anagrafica;
  • i coefficienti di trasformazione all’aspettativa di vita.

Ciò significherebbe “allineare l’età di vecchiaia dai 67 anni attuali alla crescita dell’aspettativa di vita degli ultimi tre anni a partire dal gennaio 2025”.

Altra misura da mettere in atto sarebbe quella di permette, dal gennaio 2027, il pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi (un anno in meno per le donne) ma solo con un massimo di 3 o 4 anni figurativi (escludendo quelli di maternità e di contribuzione volontaria)

Infine, consentire le anticipazioni tipo APE o precoci ma solo con 64 anni (a fronte dei 63 attuali), adeguati all’aspettativa di vita, e 38 anni di contribuzione. Servirebbe anche la reintroduzione del cosiddetto “superbonus” per chi volontariamente desidera lavorare fino ai 71 anni. Tale bonus si concretizzerebbe nel fruire del 33% di contributi al netto delle imposte in busta paga per tre anni.

Riassumendo…

  • a Quota 100 e 102 non è legato nessun incentivo per restare nel mondo del lavoro
  • a Quota 103, invece, è legato il bonus Maroni. In pratica, a chi non va in pensione anticipata pur avendo i requisiti, non si tratterrà in busta paga la quota di contributi a proprio carico (9,19% a cui si aggiunge altro 1%)
  • il vero disincentivo a non andare in pensione anticipata dovrebbe, invece, essere la reintroduzione del bonus lavoro fino a 71 anni (un superbonus del 33% in busta paga). A dirlo è il Centro Studi Itinerari Previdenziali nell’11° rapporto sul sistema previdenziale italiano.