Si fa sempre più serrato il confronto fra parti sociali e governo per la riforma delle pensioni. Punto fermo resta la sostenibilità finanziaria dell’impianto, quindi niente più debito pubblico.

Il che implica necessariamente un taglio degli assegni commisurato agli anni di anticipo di uscita dal lavoro rispetto ai requisiti ordinari. D’altro canto attendere i 67 anni di età appare oggi troppo penalizzante per i lavoratori.

In pensione a 62 dal 2023, ma con sacrificio

I sindacati, come noto puntano alla pensione anticipata a 62 anni o con 41 di contributi.

Non senza penalizzazione però, altrimenti sarebbe stata lasciata in piedi quota 100 (terminata a fine 2021). Il governo, invece, punta a una uscita anticipata a 64 anni, sulla falsariga di quanto previsto da quota 102 per quest’anno.

In ogni caso la riforma pensioni sarà improntata su criteri di flessibilità. Tradotto, un taglio degli assegni in cambio di una uscita anticipata dal lavoro. In questo senso, una delle possibilità allo studio della prossima riforma pensioni riguarda l’anticipo dell’entrata a regime del sistema contributivo puro. Anche per chi ha versato contributi prima del 1996.

L’ipotesi a cui lavora il governo è infatti quella di permettere l’accesso alla pensione con qualche anno di anticipo rispetto ai requisiti di vecchiaia (67 anni) a patto che si rinunci al calcolo retributivo della pensione per la relativa parte di competenza.

Soluzione che già esiste, prevista dalla riforma Fornero, per i contributivi puri ma con soglia di sbarramento legata a un trattamento minimo pari ad almeno 2,8 volte la pensione sociale.

Le vie della flessibilità

Fra le varie ipotesi allo studio vi sarebbe anche quella dell’economista Michele Raitano che propone un taglio dell’assegno del 3% per ogni anno di anticipo della pensione. Il taglio, però ricadrebbe solo sulla parte retributiva dei contributi e creerebbe disparità di trattamento fra i lavoratori.

In alternativa, però, si potrebbe ricorrere al sistema flessibile proposto dall’Inps che prevede la liquidazione della pensione in due tranches a partire da 63-64 anni.

La proposta non piace ai sindacati, ma è finanziariamente sostenibile.

E’ quindi questa la seconda via di flessibilità in uscita dal lavoro che potrebbe consentire allo Stato di sostenere la spesa pubblica nel lungo periodo. Difficile, comunque, che a 62 anni si possa andare in pensione con il sistema di calcolo misto senza subire una penalizzazione.