Al lavoratore in smart working spettano dei rimborsi? E quando sono da considerarsi esenti ai fini IRPEF? Risposta alla prima domanda: sì, l’azienda può riconoscere degli indennizzi specifici a chi lavora da remoto. Risposta alla seconda domanda: solo in alcuni casi si tratta di importi esentasse.

A fare chiarezza sulla questione, recentemente, è intervenuta anche l’Agenzia delle Entrate. Con la risposta all’interpello n. 314, l’AE si è espressa in merito a: reddito di lavoro dipendente, rimborso spese dipendenti da remoto e trattamento fiscale applicabile.

L’Istanza: i rimborsi ai lavoratori in smart working devono considerarsi esenti ai fini IRPEF?

Il quesito portato all’attenzione dell’Amministrazione finanziaria ha come mittente un datore di lavoro, cui intenzione è quella di voler adottare un regolamento aziendale avente ad oggetto il trattamento economico e normativo dei lavoratori in smart working.

In particolare, l’istante ha ritenuto di dover tenere “indenni” i dipendenti dalle spese che si troveranno a sostenere per ragioni lavorative quando opereranno presso la propria abitazione. A tal proposito, è stato poi aggiunto, la società in questione ha intenzione di concedere ad ogni dipendente una sorta di “rimborso delle spese”. Una somma cioè a copertura dei costi di cui il lavoratore si deve far carico per poter svolgere la propria attività lavorativa da remoto, invece che in sede in azienda.

La soluzione proposta

Per individuare un rimborso spese adeguato, il datore di lavoro-istante, ha analizzato vari voci di spesa. Questa analisi, poi, ha portato al riconoscimento di una somma che tenesse conto del “risparmio giornaliero per la società” e del “costo giornaliero per dipendente in smart working”. 

Il punto su cui è stato chiesto all’Agenzia delle Entrate di fare chiarezza, però, è quello legato al trattamento fiscale. Fatte tutte le premesse del caso, infatti, l’istante ha chiesto chiarimenti circa “il trattamento fiscale delle somme corrisposte dalla società, a titolo di rimborso ai propri dipendenti in smart working”.

Le somme erogate, in casi come questo, possano essere escluse dal reddito di lavoro
dipendente? E quindi: debbano essere escluse anche dalla relativa imposizione?

Quando i rimborsi spese rappresentano reddito di lavoro dipendente

Per chiarire quando e se un rimborso può considerarsi esente ai fini IRPEF, l’AE ha tirato in ballo la cd. onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente. Il principio è chiaramente definito dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi.

In particolare, come stabilito dall’art. 51, comma 1, del TUIR, costituiscono reddito di lavoro dipendente: “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono”. 

In base a questa disposizione, pertanto, costituiscono redditi imponibili sia gli emolumenti in denaro sia i valori corrispondenti a “beni, ai servizi ed alle opere offerti dal datore di lavoro ai propri dipendenti”. E, in quanto tali, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente. Ne consegue, in linea generale, che tutte le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore, anche a titolo di rimborso spese, costituiscono per quest’ultimo reddito di lavoro dipendente.

Quando i rimborsi spese sono esenti ai fini IRPEF

Nella risposta all’interpello, poi, l’Agenzia delle Entrate ha specificato il concetto di “rilevanza reddituale dei rimborsi spese”. Citando la circolare n. 326 del 23 dicembre 1997, è stato riportato che: “possono essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro, anticipate dal dipendente”.

In questa categoria, per esempio, rientrano l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, etc.

Il concetto, viene aggiunto, è stato ulteriormente approfondito nella risoluzione n. 178/E del 9 settembre 2003. Con questo intervento, infatti, l’AE aveva già chiarito che non concorrono alla formazione della base imponibile le somme che non costituiscono un arricchimento per il lavoratore. È questo il caso, ad esempio, degli indennizzi ricevuti a mero titolo di reintegrazione patrimoniale. Questi infatti non sono fiscalmente rilevanti, in capo al dipendente, se effettuate per un esclusivo interesse del datore di lavoro.

Inoltre, va ricordato a tal proposito che: le spese sostenute dal lavoratore dipendente e rimborsate in modo forfetario sono escluse dalla base imponibile solo nell’ipotesi in cui è il legislatore stesso a individuare la quota esentasse.

Ma se non vi è una specifica disposizione di legge?

Qui ci viene in aiuto la risoluzione n. 74/E del 20 giugno 2017. “Qualora il legislatore non abbia provveduto ad indicare un criterio ai fini della determinazione della quota esclusa da imposizione – specifica l’Amministrazione finanziaria – i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi e documentalmente accertabili”. 

E questo è il caso portato all’attenzione dall’istante con l’interpello n. 314. La società istante, difatti, per determinare la quota dei costi da rimborsare ai propri dipendenti in smart working si è basato su parametri oggettivi e documentati (ovvero i costi risparmiati dalla società e quelli sostenuti dal dipendente.

Pertanto, sulla base di tale considerazione, la quota corrisposta a titolo di rimborso può considerarsi esente.

In conclusione, non tutti i rimborsi spese per i lavoratori in smart working sono esenti ai fini IRPEF. Lo sono: le quote già determinate dal legislatore (e considerate per questo motivo esentasse), oppure quelle individuate dall’azienda secondo “elementi oggettivi e documentalmente accertabili”.

 

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