Imposto dalle misure di contenimento sociale, lo smart working rappresenta l’inizio di una rivoluzione copernicana del lavoro. Il settore terziario ne sarà maggiormente coinvolto, a cominciare dalla pubblica amministrazione.

Non più assembramenti, corse e code in metrò o sugli autobus per andare in ufficio a timbrare il cartellino, non più open space dove si lavora uno addosso all’altro a stretto contatto e nemmeno corse ai tornelli per andare in mensa. Lo smart working e o lavoro agile eliminerà tutto questo e rappresenterà il nuovo modello da perseguire.

Lo smart working migliora le condizioni di lavoro

La legge in Italia sul telelavoro già esiste dagli inizi del secolo, ma non è mai stata applicata, né dal datore di lavoro pubblico, né da quello privato, a differenza che in altri Paesi Ue. Poi l’ex ministro alla Funzione Pubblica Marianna Madia introdusse nel 2015 lo smart working con l’obiettivo di iniziare a far lavorare almeno il 10% dei dipendenti pubblici da casa. Ma, anche in questo caso, la riforma rimase un sogno nel cassetto. Ora, con il rischio epidemiologico che colpisce tutto e tutti, si è costretti (volente o nolente) a cambiare registro. Per forza. Come dimostrato dall’ultimo DPCM del governo sulla Fase 2 del lockdown che impone alla PA e al settore privato, laddove possibile, di continuare a fornire i servizi in modalità smart working, cioè lavorando da casa con un computer e una connessione veloce a internet.

Lo smart working nella pubblica amministrazione

L’introduzione dello smart working nella pubblica amministrazione rappresenta una profonda rivoluzione del sistema, sia da un punto di vista culturale che organizzativo. Lo svolgimento del lavoro in modalità agile, comporta numerosi vantaggi sia per i lavoratori, che per i datori di lavoro. Con il lavoro agile, i dipendenti hanno la possibilità di organizzare il proprio tempo, conciliando la vita privata con gli impegni di lavoro, inoltre possono risparmiare abbattendo i costi legati agli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro.

Al contempo, lo smart working porta una serie di benefici anche per le amministrazioni, che possono valorizzare le risorse umane, ridurre le forme di assenteismo, promuovere l’uso delle tecnologie digitali, con notevoli risparmi sul funzionamento e la manutenzione degli uffici. Del resto oggi si fa tutto via mail, via smartphone o per telefono. La digitalizzazione ha anche eliminato la produzione cartacea di documentazione superflua.

La digitalizzazione del lavoro

Così adesso, vista l’emergenza epidemica, il governo che molto ha puntato sulla semplificazione e sburocratizzazione della vita pubblica spingerà ancor di più verso lo “smart working”. Il premier Conte invita già da ora le amministrazioni ad adottare questo tipo di modello di lavoro, come già prevede un circolare del Ministero della Funziona Pubblica che delinea tutte le misure da adottare spiegando anche che l’obiettivo è coinvolgere il 10% del personale pubblico. “La progressiva digitalizzazione della società contemporanea – si legge nella circolare ministeriale –  le sfide che sorgono a seguito dei cambiamenti sociali e demografici o, come di recente, da situazioni emergenziali, rendono necessario un ripensamento generale delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa anche in termini di elasticità e flessibilità“.

La casa come ufficio

Per elaborare una richiesta di certificato anagrafico, per svolgere una pratica auto o per dare seguito a una domanda di pensione, sarà quindi sufficiente disporre di un computer e un collegamento internet da casa con il quale poter accedere ai relativi archivi e banche dati digitali della pubblica amministrazione. Ciò che l’impiegato fa in ufficio, lo potrà svolgere anche da casa. Non sarà più necessaria la presenza fisica in un determinato ufficio, anzi non sarà più necessario nemmeno l’ufficio poiché questo sarà completamente virtuale.

I contatti con i responsabili, i capi ufficio, ecc. saranno sempre e comunque assicurati via chat, via mail o telefono, come del resto già avviene nei luoghi fisici. Così come l’attestazione della presenza già prevista dal badge virtuale inserito nel pc.