La pandemia ha stravolto le nostre abitudini, cambiato i nostri ritmi, ci ha costretti in casa e ci ha tenuto lontani da uffici e attività quotidiane per tantissimo tempo. La nostra vita, da un anno a questa parte, è cambiata. Molti, per esempio, hanno per la prima volta sperimentato il lavoro da remoto, meglio conosciuto come smart working. Aziende e lavoratori, sia del settore pubblico che privato, hanno così riadattato i propri spazi domestici per organizzare un ufficio “home made“. Per questi non è stato più necessario timbrare il cartellino tutte le mattine, né recarsi sul posto di lavoro: decidere da “dove” lavorare è infatti diventato facoltativo, dato che con una buona connessione e un pc si poteva svolgere la propria attività ovunque.

Per questo motivo molti hanno deciso di lasciare la città per spostarsi altrove. Al mare, in montagna, in piccoli borghi che promettevano agevolazioni e benefici ai lavoratori in smart working. La scelta, una volta concessi gli spostamenti tra regione, è sempre stata varia e ampia.

Uno dei fenomeni più diffusi, come i dati dimostrano, è stato tuttavia quello del rientro dei fuorisede. Ragazzi e ragazze, più o meno giovani, che sono tornati nelle proprie città d’origine approfittando della possibilità di poter lavorare da remoto.

Quanti fuorisede sono ritornati a casa? Il bilancio post pandemia

Dopo la “fuga dei cervelli”, la pandemia ha scatenato un altro interessante fenomeno di migrazione della forza lavoro: il ritorno a casa dei fuorisede. Secondo un’indagine commissionata da Facile.it a mUp Research e Norstat:

“Nell’ultimo anno il 20% dei fuorisede, vale a dire 400.000 individui, hanno approfittato dello smart working per cambiare città. Il 75% di loro ha scelto di tornare a vivere nel luogo di origine, mentre il 25% ha preferito trasferirsi in un’altra città, diversa sia da quella in cui è nato sia da quella dove ha sede l’azienda per cui lavora”. 

Come emerso dall’analisi dei dati, uno dei motivi che pare abbia spinto i fuorisede a cambiare città è di natura economica.

Se è vero che la retribuzione media degli “smart workers di ritorno” è pari a 1.840 euro, per uno su tre lo stipendio mensile è inferiore ai 1.500 euro.

Per questo motivo la maggior parte degli spostamenti si sono registrati verso città cui tenore di vita è più sostenibile. Il 28,1% ha infatti dichiarato che la ragione principale per cui ha deciso di rimanere a lavorare da remoto è perché, pur percependo lo stesso stipendio, ha potuto permettersi cose che prima da lavoratore fuori sede non poteva.

Smart working e fuga dalle città: le regioni dove si sono registrati maggiori rientri

Lo studio di Facile.it si è soffermato anche sull’analisi dei numeri regione per regione, individuando quindi zone dove i rientri sono stati maggiori. Pertanto, tenendo conto degli “smart workers di ritorno”, il fenomeno ha assunto chiaramente connotati diversi a seconda dell’area geografica. Nello specifico, alcune regioni – soprattutto nel Meridione – hanno visto rientrare lavoratori in misura maggiore rispetto a quelli che sono usciti. Tra queste:

  • Sardegna con +40% di rientri;
  • Sicilia con +27% di rientri;
  • Calabria con +21% di rientri.

Va detto, comunque, che sono regioni dove – prima della pandemia – si registrava il maggior numero di fuori sede per studio e/o lavoro.

Di contro, le zone con città più popolose da un punto di vista demografico e lavorativo, hanno avuto un bilancio negativo, perché il numero di smart workers che hanno lasciato il territorio è superiore a quello di coloro che vi hanno fatto ritorno, come: Lombardia (-2%), Piemonte (-10%) e Lazio (-20%).

A tal proposito, tra le ragioni che hanno spinto i lavoratori a spostarsi altrove, nel 42,1% dei casi c’è la scelta di trovare un ritmo di vita più a “misura d’uomo”.

Infatti, come è stato riportato nella nota stampa di Facile.it: “Analizzando le intenzioni per il futuro, sei smart workers di ritorno su dieci hanno dichiarato di non avere intenzione di tornare a fare i fuorisede con casa in affitto e di voler continuare a lavorare da remoto, dalla propria città di origine o da quella in cui si sono trasferiti dopo il lockdown“. 

Gli effetti dello smart working su mutui e attivazione linee internet

Nuovi stili di vita, ovviamente, danno origine a nuove esigenze. Spostamenti e trasferimenti verso altre regioni, per esempio, hanno influenzato anche le richieste di accesso a prestiti e mutui, ma non solo.

L’osservatorio di Facile.it e Mutui.it, per esempio, ha evidenziato come nel primo semestre 2021 le domande di finanziamento per immobili ubicati in comuni con meno di 250.000 abitanti siano state il 77% del totale, in aumento del 7% rispetto al 2017.

Analizzando invece l’andamento dei contratti di attivazione o cambio operatore del servizio internet a casa emerge come, tra marzo 2020 e gennaio 2021, vi sia stato un boom soprattutto in alcune delle regioni “di rientro”. In particolare: Sardegna (+15,9%), Calabria (+9,7%), Marche (+7,1%), Puglia (+4,8%), dove le persone sono tornate, sono rimaste ed hanno deciso di organizzarsi al meglio per continuare a lavorare da lì.

L’indagine è stata condotta attraverso l’effettuazione (e l’analisi) di 6.537 interviste CAWI, fatte ad un campione di individui in età compresa fra 18 e 74 anni, rappresentativo della popolazione italiana adulta residente sull’intero territorio nazionale. Di questi, 408 lavoratori erano fuorisede in affitto in epoca pre-Covid 19 e n. 242 individui che si siano successivamente trasferiti grazie allo smart working.

L’osservatorio Facile.it – Mutui è stato realizzato su un campione di oltre 100.000 richieste di mutuo raccolte nel primo semestre 2017 e 2021. L’analisi sui contratti di fornitura Internet casa è stata invece realizzata su un campione di circa 100.000 contratti raccolti da Facile.it tra aprile 2019 e gennaio 2021.