Tra i rumori in condominio maggiormente oggetto di liti tra vicini ci sono i tacchi indossati in casa. Se l’isolamento acustico non è adeguato infatti, soprattutto ad alcune ore del giorno riservate al riposo, questo rumore può diventare particolarmente molesto e fastidioso. Proprio su una fattispecie simile si è espresso in maniera degna di nota il Tribunale di Pesaro in una recente sentenza che ha richiamato l’articolo 1669 c.c. sui vizi di costruzione che determinano una riduzione del valore dell’immobile.

Più nello specifico i giudici hanno concluso che, se la percezione molesta dei rumori in condominio (tacchi ma non solo in questa prospettiva dal carattere più generale) è da addebitare, in tutto o in parte, al difetto di isolamento acustico della casa, il proprietario  che subisce il fastidio è legittimato a chiedere il risarcimento alla ditta costruttrice.

Rumori in condominio, non è solo educazione: quanto conta lo scarso isolamento acustico

La sentenza in analisi è la n. 59 del 20 febbraio 2017 con la quale i giudici hanno dato ragione alla pretesa della proprietaria di casa la quale aveva peraltro presentato, a sostegno della sua teoria sull’inadeguatezza del sistema di isolamento acustico, una relazione tecnica con accertamento preventivo. Anche le conclusioni del CTU nominato dal Tribunale hanno inoltre confermato l’ATP stimando la riduzione del valore per mancato isolamento dai rumori al 20% di quello immobiliare.

Già in passato altre sentenze simili avevano confermato che un isolamento acustico non adeguato pregiudica il godimento normale del bene e la sua funzionalità. Nella fattispecie ad esempio rientrano sia casi in cui non siano stati usati materiali a regola d’arte sia quelli relativi a vizi secondari e di realizzazione dell’opera quali rivestimenti, pavimentazione, impermeabilizzazione etc.

E’ però fondamentale che i giudici riscontrino la gravità del difetto in esame: ad esempio erano stati considerati irrilevanti alcuni difetti acustici non in “grado di compromettere né la piena ed indisturbata fruibilità e godimento del bene né di determinare un deprezzamento del suo valore commerciale” (Tribunale di Roma, 23 giugno 2014).

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