Fare la riforma pensioni o rivalutare gli assegni. Entrambe le cose non si possono fare anche perché una strada è obbligata, l’altra no. E tirar fuori altri soldi dal cilindro implica alzare nuovamente l’asticella del debito.

Del resto nessuno aveva fatto i conti con l’impennata dell’inflazione. Tutti eravamo abituati a osservare i prezzi stabili da anni per cui non vi è mai stata reale necessità di rivalutare le pensioni come si farà nel 2023.

Il peso delle rivalutazioni delle pensioni sulla riforma

Il governo è chiamato a rivalutare 16 milioni di assegni, oltre a tutte le prestazioni assistenziali erogate dall’Inps.

Un conto da 24 miliardi al quale non ci si può sottrarre e che vale metà della manovra finanziaria da varare entro fine anno.

Dove trovare, quindi, altri soldi per fare Quota 41? O per mandare in pensione i lavoratori a 61-62 anni come chiedono i sindacati? Impossibile, a meno che non si faccia uno scostamento di bilancio che, in questo momento, è visto come il fumo negli occhi da tutti. A cominciare da Bakitalia per finire ai piani alti di Bruxelles.

Pertanto, posto che si dovranno spendere 24 miliardi di euro per sostenere il potere di acquisto dei pensionati, non riesce proprio a capire dove il governo possa trovare i soldi per fare una vera riforma pensioni per evitare il ritorno della Fornero nel 2023.

Tramontano quindi le speranze che Quota 102 possa essere sostituita da Quota 41. Costerebbe 18 miliardi di euro per i primi tre anni. Soldi che, sommati al costo della perequazione automatica a partire da gennaio, non ci sono. Nemmeno andando a rosicchiare dai flussi delle maggiori entrate fiscali di quest’anno.

Dalla riforma al ritocco

La riforma si tradurrà, alla fine, in un ritocco di quello che già esiste. Innanzitutto saranno prorogare Opzione Donna e Ape Sociale anche per il prossimo anno.

La prima potrebbe essere estesa anche agli uomini, mentre la seconda allargata a più lavoratori.

Più specificatamente Ape Sociale permette anche a chi svolge lavori gravosi di andare in pensione a 63 anni con almeno 36 di contributi. A patto di rientrare nella fattispecie prevista delle categorie lavori gravosi stabiliti dalla legge. Allo scopo la platea dei beneficiari era già stata allargata lo scorso anno attingendo da un nuovo elenco stilato da apposita commissione governativa. Detta lista, però, finora è stata utilizzata utilizzata solo in parte.

C’è poi Quota 102 che scade a fine anno. Istituita per evitare lo scalone fra la fine di Quota 100 e l’accesso alla pensione coi requisiti ordinari, finisce la sua corsa il 31 dicembre 2022. Al suo posto potrebbe essere proposta Quota 41 con soglia di età che costerebbe poco.