Continua il dibattito sulla riforma pensioni. Al centro delle discussioni al ministero del Lavoro c’è sempre quota 100, in scadenza alla fine del 2021 e che l’Europa (o meglio, la Germania)  vede come il fumo negli occhi.

Fra le varie ipotesi di riforma che girano e rigirano fra sedi di partito, sindacati e tecnici del governo, si sta cercando la quadra senza spendere troppi soldi. Altre manovre in deficit sarebbero bocciate da Berlino, dopo l’accordo più o meno segreto raggiunto da Conte con la Merkel sugli aiuti europei.

Inutile nascondere che regna la confusione più totale e che sulle pensioni anticipate non si sa più che pesci pigliare. Del resto, però, dopo quota 100 si tornerebbe a considerare le regole della Fornero, in base alle quali si va in pensione a 67 anni o con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne).

Quota 100 potrebbe restare

Fra le varie ipotesi che circolano, c’è anche quella che vedrebbe la conferma di quota 100 anche dopo il 2022, ma con penalizzazione. Niente di più semplice che lasciare le cose come stanno, senza stravolgere l’impalcatura della precedente riforma fortemente voluta dalla Lega. Si continuerebbe ad andare in pensione a 62 anni con almeno 38 anni di contributi maturati, ma solo se si accetta il sistema di calcolo della pensione esclusivamente nel regime contributivo.

In pratica il lavoratore dovrebbe accettare, così come avviene per “opzione donna” il trasferimento dei contributi dal sistema retributivo, per gli anni di lavoro svolti prima del 1996, a quello contributivo.

La penalizzazione

Inevitabile una penalizzazione che potrebbe arrivare, secondo le più pessime previsioni, anche a una perdita del 20-25% dell’assegno. Sarebbe comunque allo studio un limite (intorno al 15%) per fare in modo che le pensioni così liquidate non subiscano un taglio così drastico. Limite che dovrà tenere conto anche dell’età anagrafica del lavoratore e di situazioni familiari e sociali particolari.

Ma anche in base alla tipologia di lavoro svolto (usurante e oneroso) dando così maggiore flessibilità in uscita e riconoscendo una penalizzazione inferiore.

Opzione donna verso la fine

La pensione anticipata prevista per opzione donna (in pensione a 58-59 anni di età con 35 di contributi) verrebbe interamente assorbita da quota 100. Anche in questo caso la riforma dovrà tenere conto delle condizioni di svantaggio del lavoro femminile riconoscendo alle lavoratrici un trattamento diverso. Resterebbe confermata la penalizzazione sul calcolo della pensione che verrebbe liquidata interamente col sistema contributivo.

Il sistema di calcolo della pensione anticipata

L’impianto della riforma così concepito avrebbe il merito di consentire il pensionamento anticipato per tutti ma con penalizzazione. Il taglio dell’assegno si ridurrebbe col passare degli anni, fino al 2036, quando è prevista l’entrata a regime totale del sistema contributivo. Per cui inizialmente la penalizzazione risulterebbe elevata per i lavoratori prossimi alla pensione, ma meno significativa quanto più ci si avvicina al 2036.

Riforma coraggiosa, ma necessaria

Per chi ha molti anni di lavoro prima del 1996, potrebbe il taglio potrebbe arrivare al 25% rispetto a una normale liquidazione col sistema misto (retributivo + contributivo). Notoriamente il calcolo retributivo è più vantaggioso. Tutto dipenderà da quanti anni di contributi versati prima del  1996 un lavoratore potrà far valere.

In questo modo – sostengono gli esperti di previdenza – si scoraggia il pensionamento anticipato nel breve periodo, mentre lo si incoraggia nel lungo periodo. Il che favorirebbe il turnover e l’occupazione giovanile, oltre che il bilancio pubblico.

Vedi anche: Pensioni: quota 41 possibile, ma solo con penalizzazione