La riforma pensioni è stata ultimamente messa da parte rispetto alla lista delle priorità per via dell’emergenza Covid che ha costretto il governo a misure impellenti e interventi urgenti. Ma il sistema previdenziale non può essere dimenticato: la necessità di una riforma strutturale è rimasta li ed è pronta ad essere ridiscussa in tempi stretti.

Quali novità ci attendono sul fronte pensioni 2021? Bisogna fare i conti con l’aumento dell’età pensionabile per adeguamento alle aspettative di vita, da un lato, e l’imminente scadenza della quota 100 che potrebbe, salvo interventi correttivi, portare ad un salto di 5 anni per smettere di lavorare, dall’altro.

Una penalizzazione che rischia di rivelarsi pesante. Per evitarla, però, servono fondi e coperture economiche: la coperta sembra essere corta e il pressing dell’Europa resta una costante. Quali prospettive di riforma pensioni sono concretamente attuabili in questo scenario?

Riforma pensioni: quali novità per la pensione di vecchiaia

Per quanto riguarda la pensione di vecchiaia c’è una buona notizia confermata: l’età di uscita è stata confermata a 67 anni, senza aumenti, per il biennio 2021/2022. Gli scatti per adeguamento delle aspettative di vita hanno cadenza biennale: ciò significa che solo nel 2023, eventualmente e salvo interventi correttivi, si potrà far salire l’età pensionabile a 67 anni e 3 mesi. Per i prossimi due anni l’uscita resta a 67 anni e nessuna riforma previdenziale in senso peggiorativo può modificare questa cosa.

Riforma pensioni: come cambierà la pensione anticipata dopo la fine di quota 100

Per quanto riguarda le forme di pensionamento anticipato, gli occhi sono puntati soprattutto sul post quota 100 (visto che la misura è vicina alla fine della sperimentazione). Che cosa accadrà? Fino a quando resterà in vigore? La misura, cavallo di battaglia della Lega, scade a fine 2021 ed è già stato chiarito che non sarà oggetto di proroga. Tuttavia ciò comporta l’esigenza di intervenire con qualche misura alternativa per evitare uno scalone di 5 anni.

Quota 100 permette di andare in pensione a 62 anni e con 38 di contributi (dalla cui somma si ottiene appunto 100). Senza questa possibilità attendere la pensione di vecchiaia per smettere di lavorare (salvo alcune ipotesi eccezionali di chi possiede i requisiti per altre forme di pensione prima dei 67 anni) significherebbe rimandare di ben 5 anni. In questo modo chi compie 62 anni ad inizio 2022 sarebbe fortemente penalizzato.

Una soluzione di compromesso, che porta la firma di Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.

La riforma pensioni toccherà anche le altre forme di pensione anticipata?

Per completezza riportiamo le altre forme di pensione anticipata attualmente in vigore in modo da riflettere su quale tra queste potrebbe essere interessata ad una eventuale riforma pensioni:

  • pensione anticipata contributiva:

Chi ha iniziato a lavorare molto presto potrebbe trovare più conveniente smettere di lavorare indipendentemente dall’età anagrafica, sulla base dei requisiti                 contributivi. La pensione anticipata ordinaria prevede l’uscita con 41 anni e 10 mesi di versamenti per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini;

  • Quota 41:

Tale possibilità è riservata per chi, a prescindere dall’età, ha versato 41 anni di contributi. Ad oggi questa possibilità esiste ma solo per alcune categorie di                     lavoratori (disoccupati, invalidi, caregiver, lavori usuranti e gravosi) e con alcuni paletti specifici (almeno 12 mesi, anche se non continuativi, versati prima del               compimento dei 19 anni). L’obiettivo di una possibile riforma pensioni potrebbe essere, e se ne discute, quella di estendere la quota 41 a tutti;

  • pensione Rita:

E’ un’alternativa ancora poco utilizzata, nonostante per alcuni contribuenti che hanno cessato il rapporto di lavoro possa essere l’unica via per evitare di                      aspettare  la pensione di vecchiaia. Non si tratta di un pensionamento previdenziale in senso stretto ma più propriamente di un anticipo finanziato dal fondo           di previdenza complementare di cui il beneficiario è titolare (e in cui versi i contributi da almeno 5 anni).

La domanda, infatti, non va presentata all’Inps ma          direttamente al Fondo. Il requisito anagrafico è di 62 anni (con 20 di contributi): per cinque anni, quelli che mancano alla pensione di vecchiaia, il Fondo                       riconosce un assegno ponte. Si scende a 57 anni di età (quindi dieci anni di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia) per disoccupati da almeno 24 mesi. Con           la Legge di Bilancio 2018, la Rita è diventata strutturale quindi non è a scadenza o sottoposta a possibile riforma delle pensioni;

  • Isopensione ed espansione:

L’isopensione concede ai dipendenti in esubero delle aziende medio grandi uno scivolo sino a sette anni ed è una misura dal carattere strutturale (anche se al              momento i 7 anni sono garantiti fino a fine 2020, poi potrebbero essere riportati a 4). Il contratto di espansione è invece una misura in sperimentazione,                    valido per il biennio 2019 e 2020, che permette di anticipare la pensione rispetto a quella di vecchiaia fino a 5 anni.  Entrambi gli strumenti non sono                           compatibili con altre forme di pensione (come, ad esempio, quota 100 o opzione donna oppure per il perfezionamento della quota 41).

  • Opzione Donna:

La legge di Bilancio del 2020 ha prorogato l’Opzione Donna concedendo alle lavoratrici di fare domanda purché abbiano maturato i requisiti entro la fine del                2019. Ricordiamo che per accedervi servono 58 anni di età e i 35 di contributi (59 per le lavoratrici autonome) e che si applicano le consuete finestre temporali            di 12 e 18 mesi.

Riforma pensioni 2020, si riapre il tavolo: ecco le proposte e le novità

Alla luce della panoramica appena esposta, dovremmo disporre di un quadro più chiaro delle misure previdenziali a scadenza e delle priorità sulle quali impostare la riforma del sistema pensionistico improntato sulla Legge Fornero.

Servono alternative che non lascino senza possibilità i lavoratori che compiono 62 anni, le donne e i lavoratori precoci. Questi punti vengono richiamati anche nelle parole di Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil: “Certo, le nostre principali proposte sono in realtà note ai più e ricomprendono: possibilità di andare in pensione dopo 62 anni a scelta del lavoratore o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Teniamo conto che questa flessibilità in uscita è sempre più sostenibile finanziariamente perchè da ora in poi i futuri pensionati o saranno integralmente nel sistema contributivo o comunque la componente contributiva sarà largamente prevalente nel loro paniere previdenziale. Poi crediamo che le donne e chi ha fatto lavori di cura, come anche chi ha fatto lavori più pesanti, debbano poter andare in pensione prima o, a loro scelta, possano contare su un sistema di calcolo che consenta loro una pensione più alta. Inoltre crediamo fondamentale pensare ai giovani e a chi ha condizioni di lavoro povero, discontinuo o con bassa contribuzione, ed in questo caso chiediamo una “pensione contributiva di garanzia” che aiuti, solidalmente, chi ha avuto più difficoltà nel suo percorso lavorativo affinché possa raggiungere ugualmente una pensione almeno dignitosa”.