Si riaccende il dibattito politico sulla riforma pensioni e Quota 41. Alla vigilia della formazione del nuovo governo a guida Giorgia Meloni, sindacati e partiti tornano alla carica con le loro proposte.

Sul piatto balla la fine di Quota 102 il 31 dicembre 2022, col ritorno integrale per tutti, dal prossimo anno, della legge Fornero. Quindi resta poco tempo per formulare una riforma che sia condivisa e, soprattutto, sostenibile dal punto di vista finanziario.

Quota 41 per tutti dal 2023, la strada è stretta

Alla ribalta torna il tema tanto caro alla Lega, cioè quello di Quota 41.

Un cavallo di battaglia che – come abbiamo visto in tanti precedenti articoli – non rappresenta una soluzione ottimale e costerebbe troppo.

Sul primo punto, bisogna ricordare che il nostro ordinamento già prevede l’uscita anticipata con 41-42 anni e 10 mesi (per donne e uomini) di contributi per il diritto alla pensione. Anticipare di poco questa soglia cambierebbe poco nella sostanza.

E poi c’è il nodo dei costi. Una riforma del genere costerebbe 18 miliardi di euro solo per i primi tre anni e sono soldi che in questo momento non si possono spendere. Come fare allora per accontentare la Lega (e anche i sindacati) che tanto preme su questo punto?

Verrebbe inoltre meno il diritto preferenziale per i lavoratori precoci che già adesso possono uscire con Quota 41, ma solo a determinate condizioni, non sempre facili da rispettare.

Soglia minima a 62 anni

Poiché anche Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, sostiene che Quota 41 sarebbe un errore, al pari di quanto fatto con Quota 100 nel 2019, occorre trovare una soglia di sbarramento. Limite individuabile nell’età anagrafica.

Le voci che circolano sono per 62 anni di età, ma potrebbero anche diventare 63, al pari di quanto previsto per Ape Sociale. Quindi, Quota 41 sì, a patto che si siano compiuti almeno i 62-63 anni di età.

Ma questo cosa significa? In pratica si introdurrebbe un vincolo che avvicinerebbe molto Quota 41 a quanto già previsto per i lavoratori precoci.

Col rischio che se ci sono buchi contributivi durante la carriera lavorativa non si possa andare in pensione.

All’atto pratico chi potrebbe uscire a 62 anni con 41 anni di contribuzione versata dovrebbe aver iniziato a lavorare a 20-21 anni. La differenza rispetto a un lavoratore precoce sarebbe poca, poiché quest’ultimo deve possedere almeno 12 mesi di contributi prima dei 19 anni di età.

Insomma, per accontentare la Lega, si rischia di fare l’ennesimo pasticcio perché alla fine dei conti saranno ancora pochi i lavoratori che potranno andare in pensione con Quota 41. Più ragionevole sarebbe estendere Opzione Donna anche agli uomini.