Quota 103, così come concepita dal Governo Meloni, è un abito troppo stretto per molti lavoratori. Andare in pensione anticipata a 62 anni con 41 di contributi, benché alla portata di tanti che maturano i requisiti quest’anno, presenta della insidie che è bene conoscere attentamente prima di fare domanda.

Come noto, Quota 103, ha dei vincoli. Il primo è quello che la pensione è pagata fino a un certo importo massimo. La soglia è pari a cinque volte il trattamento minimo della pensione. Oltre a tale importo, per chi lo supera, l’Inps non riconosce nulla fino alla maturazione del requisito per la pensione di vecchiaia.

Ma ci sono anche limiti al ribasso rappresentati dal divieto di cumulare la rendita con redditi da lavoro.

Quota 103 non è per tutti, se la pensione è troppo bassa

Di fatto, se la pensione risulta troppo bassa, spesso il lavoratore è costretto a proseguire l’attività lavorativa, anche solo in parte. Ragionamento che fila bene per gli autonomi e per i professionisti che a 62 anni di età si sentono ancora nel pieno delle forze e delle facoltà per svolgere il loro mestiere.

La legge che istituisce Quota 103, però, vieta espressamente di cumulare la pensione con altri redditi di lavoro. Pena la perdita della rendita. Come previsto, del resto, anche per Quota 100 e Quota 102,

la rendita non è cumulabile con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale nel limite di 5.000 euro lordi annui.

Questo impedisce di fatto, a chi per necessità ha bisogno di integrare la pensione, di lavorare. Il che scoraggia il lavoratore ad accettare Quota 103 e attendere quale mese in più per andare in pensione con il pensionamento anticipato. Cioè con 41-42 anni e 10 mesi di contributi a prescindere dall’età.

Pensione tagliata se Quota 103 è troppo alta

Ma il lavoratore è scoraggiato, alla stessa maniera, ad andare in pensione con Quota 103 se la sua rendita dovesse essere troppo alta.

L’Inps pone infatti una soglia limite di pagamento che è pari a 5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione (563,74 euro al mese). A conti fatti, si tratta di 2.818,70 euro all’anno, cifra oltre la quale l’Inps non va.

Pertanto, chi avesse diritto a una pensione di importo superiore dovrebbe mettere in conto che fino al raggiungimento dei requisiti di vecchiaia otterrebbe con Quota 103 una rendita massima di 2.818 euro al mese. Non poco, certo, ma per chi ha un monte contributivo elevato dopo 41 anni di versamenti, subirebbe un taglio prolungato negli anni.

Il vincolo è infatti previsto fino al raggiungimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia, cioè a 67 anni. La differenza non sarebbe recuperata a quell’età, ma andrebbe persa per cui il lavoratore non ha convenienza ad accettare un decurtamento della pensione per molto tempo.

Domande di pensione anticipata in calo

Quota 103, così come Quota 102, sono deroghe pensionistiche che il Governo ha creato per far credere che vi sia una alternativa alla Fornero. Di fatto, però, il combinato dei requisiti anagrafici e contributivi, uniti ai vincoli sui pagamenti, limitano molto l’accesso dei lavoratori alla pensione anticipata. E lo si vede dai dati sui pensionamenti anticipati che evidenziano un calo netto delle domande all’Inps.

Del resto, perché accettare a malincuore delle penalizzazioni con 41 anni di contributi quando attendere 10-18 mesi in più permette di ottenere una pensione con pieni diritti? Oltretutto in un contesto dove lo Stato incoraggia il lavoratore a restare al lavoro riconoscendogli un bonus aggiuntivo in busta paga (bonus Maroni).

Riassumendo…

  • Quota 103 non è la soluzione ideale per chi ha una pensione bassa.
  • Chi va in pensione con Quota 103 non può cumulare la rendita con redditi da lavoro.
  • L’Inps paga la pensione fino a 5 volte l’importo del trattamento minimo.
  • Troppi vincoli frenano le domande di pensione con Quota 103.