I buoni fruttiferi postali (Bfp), al pari degli altri strumenti finanziari, sono soggetti a imposizione fiscale. Cioè si pagano tasse sia sul possesso che sulla rendita periodica che viene corrisposta ai detentori. Ovvero, gli interessi che maturano annualmente.

La tassazione che grava sui Bfp è, tuttavia, diversa rispetto alla generalità degli strumenti finanziari e alle giacenze sul conto corrente. I buoni fruttiferi sono soggetti a imposta agevolata essendo investimenti che lo Stato equipara ai titoli di Stato, come i Bot, i Cct o i Btp.

Imposte sui rendimenti dei buoni fruttiferi

Ma quali sono le tasse che gravano sui buoni fruttiferi postali? Le imposte sono di diverso tipo e non tutte riguardano strettamente lo strumento finanziario. La principale è la ritenuta alla fonte sugli interessi, meglio conosciuta come imposta sulle rendite finanziarie.

Si tratta di una imposta sostitutiva sugli interessi maturati che ammonta al 12,50%. Cosa significa questo? In pratica il risparmiatore deve corrispondere allo Stato il 12,50% degli interessi maturati giorno per giorno sul Bfp. Pertanto l’interesse facciale mostrato è sempre lordo. Per fare un esempio, se l’interesse lordo annuo del Bfp ammonta al 1%, al risparmiatore è riconosciuto lo 0,875% netto.

Questo trattamento fiscale sui buoni fruttiferi, come detto, è fra i più vantaggiosi in Italia. Al pari dei titoli di stato italiani e stranieri, l’aliquota stabilita dal legislatore è rimasta invariata, da quando è stata introdotta nel lontano 1997, su tutti gli strumenti finanziari. Prima si pagava la metà e fino al 1987, quando i tassi d’interesse erano molto più alti, addirittura non si pagava nulla.

Per tutti gli altri strumenti finanziari, invece, l’imposta sostitutiva è pari al 26%, il che rende l’investimento in Bfp, insieme ai titoli di Stato, più conveniente dal punto di vista fiscale.

Il capital gain

Su tutti gli strumenti finanziari si paga anche l’imposta sui guadagni di borsa. Il così detto capital gain che ammonta, sempre per il caso specifico dei titoli di stato ed equiparati, al 12,50% della differenza fra il prezzo di acquisto e di vendita.

L’imposta grava solo sulle plusvalenze, cioè in caso di guadagni, mentre non si paga nulla in caso di minusvalenze (perdite in conto capitale).

Questo meccanismo impositivo, che la politica ha tentato più volte di alleviare, è ben riscontrabile sui Btp o sui Bot (non sui buoni fruttiferi) quando vengono emessi a un prezzo inferiore a quello di rimborso (o vendita). Se, ad esempio un Btp emesso a 98, dopo cinque anni è rimborsato o venduto a 100, la differenza di 2 punti è soggetta a imposta del 12,50%.

Volendo fare un esempio pratica, acquistando Btp per 9.800 euro e vendendoli per 10.000 euro, lo Stato trattiene per sé, tramite intermediario bancario, il 12,50% della differenza di 200 euro. Cioè 25 euro. Per la generalità degli strumenti finanziari diversi dai titoli di stato, l’imposta sul capital gain è del 26%.

Imposta di bollo sui buoni fruttiferi postali

Ma c’è un’altra odiosa tassa che grava sui Bfp. Più comunemente conosciuta come imposta di bollo sul deposito titoli. Essa è pari al 2 per mille annuo del controvalore giacente sul dossier titoli, senza distinzione di sorta fra uno strumento finanziario e l’altro. Una vera e propria patrimoniale ricorrente.

E’ applicata regolarmente dal 2014 e scatta automaticamente con la comunicazione della rendicontazione del deposito titoli che fotografa la consistenza patrimoniale alla data di emissione.

A partire dal 2018, con l’entrata in vigore della normativa MiFID2, la rendicontazione del deposito avviene con periodicità trimestrale. Pertanto, anche l’imposta di bollo sui buoni fruttiferi postali è calcolata con la medesima frequenza e rapportata al periodo rendicontato (trimestre) sulla base del criterio “pro-rata temporis“.

A titolo di esempio, chi detiene 10.000 euro investiti i buoni fruttiferi postali deve versare allo Stato 20 euro (5 euro a trimestre).

Il 31 dicembre di ogni anno Poste Italiane, che distribuiscono i Bfp per conto di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) applicano quindi sui Bfp una trattenuta di pari importo.

La franchigia

Esiste tuttavia una franchigia, una soglia al di sotto della quale non si paga l’imposta di bollo. Tale soglia è fissata in 5.000 euro. Se un risparmiatore possiede Bfp per un controvalore inferiore a tale cifra è sollevato dall’obbligo di versamento dell’imposta di bollo annuale.

Attenzione, però, perché tale soglia limite tiene conto dei Bfp cumulati. In pratica se un investitore sottoscrive due diverse tipologie di buoni fruttiferi dal valore di 4.000 euro ciascuno, pagherà comunque l’imposta di bollo su 8.000 euro.

Poste Italiane somma, infatti, i valori registrati su ogni singolo contribuente incrociando i codici fiscali. Pertanto, se si vuole evitare di pagare l’imposta di bollo è necessario, in questo caso, che i diversi Bfp non risultino intestati alla stessa persona.