Sempre più lavoratori sono preoccupati per la loro data di pensionamento. Sia chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 ricadendo nel sistema contributivo, sia chi prima di tale data nel regime retributivo, più vantaggioso. In entrambi i casi il problema riguarda non tanto l’età della pensione, ma il rapporto di lavoro che ne determina il diritto.

Per andare in pensione di vecchiaia servono oggi 67 anni di età e almeno 20 di contributi. Requisiti che per la maggior parte dei lavoratori più anziani sono facilmente raggiungibili.

Ma per i giovani o i millennials. Per costoro ci saranno seri problemi a mettere insieme 20 anni di lavoro, visto che le carriere sono sempre più precarie e frammentate. Spesso costellate da periodi di disoccupazione e inattività.

Come sarà la pensione dei lavoratori in nero e sottopagati

Per i lavoratori in nero, o che hanno alle spalle una vita da precari e sono sottopagati il rischio concreto è che a 67 anni non riescano ad andare in pensione di vecchiaia. Non importa se con tanto o poco di rendita, il problema è raggiungere i 20 anni minimi di contributi per accedere alla prestazione. Tanto nel sistema contributivo puro, come in quello misto.

La normativa vigente non lascia scampo a chi, per un motivo o per un altro, non riesce a centrare il requisito minimo contributivo. Per costoro l’età della pensione si sposta necessariamente in avanti con l’età. Fino a 71 anni, limite per il quale bastano anche solo 5 anni ci contributi per ottenere una piccola rendita periodica dall’Inps, calcolata però solo con il sistema contributivo, anche se i periodi di lavoro sono antecedenti il 1996.

Per i lavoratori in nero, precari o sottopagati che ricadono nel regime contributivo c’è anche da considerare la soglia minima di pensione. La legge stabilisce infatti che, pur in presenza dei requisiti anagrafici e contributivi di cui sopra, bisogna anche raggiungere un livello di pensione pari all’importo dell’assegno sociale che oggi vale 503 euro.

Livello che è stato abbassato con la legge di bilancio 2024 da 1,5 volte, cioè 755 euro proprio per non penalizzare molti lavoratori che si troveranno in situazioni di difficoltà.

Per chi avrà meno di 20 anni di contributi

Quindi chi ha meno di 20 anni di contributi a causa di lavoro nero o precario dovrà lavorare ancora per centrare l’obiettivo minimo. Ma se è molto distante all’età di 67 anni, gli converrà aspettare il compimento dei 71 anni. Esiste, però, un’alternativa per coloro che non hanno altri mezzi di sostentamento, senza dover per forza attendere altri 4 anni per la pensione. Si chiama assegno sociale. Di cosa si tratta?

L’assegno sociale, è una prestazione non pensionistica di sostegno al reddito. E’ erogato dall’Inps, a richiesta dell’interessato, al compimento dei 67 anni di età. E’ riconosciuto solo se non esistono altre fonti di reddito o l’assicurato non ha mezzi sufficienti per vivere.

Dal 1996 l’assegno sociale ha sostituito la pensione sociale diventando di fatto una prestazione assistenziale temporanea. Per ottenere l’assegno sociale servono i seguenti requisiti:

  • 67 anni di età;
  • stato di bisogno economico;
  • cittadinanza italiana o equiparata;
  • residenza effettiva in Italia da almeno 10 anni;
  • reddito personale non superiore a 542,51 euro all’anno (13.085,02 euro se si tratta di persona coniugata).

L’importo che l’Inps riconosce è rivalutato ogni anno in base al tasso di inflazione. Per il 2023 ammonta a 503,27 euro ed è corrisposta anche la tredicesima a dicembre. Tuttavia, può essere sospeso o revocato in qualsiasi momento alla perdita anche solo dei requisiti di cui sopra.

Riassumendo…

  • I lavoratori in nero e sottopagati rischiano di andare in pensione a 71 anni.
  • La pensione di vecchiaia per i contributivi è concessa solo se si superano 503 euro al mese di rendita.
  • In alternativa alla pensione a 67 anni c’è l’assegno sociale.