La riforma pensioni è impantanata nei meandri del ministero del Lavoro. Inutile farsi illusioni, il governo Draghi (in scadenza) probabilmente non sconvolgerà l’assetto previdenziale attuale. Con la scusa della guerra in Ucraina, s’intende.

Il confronto fra tecnici ministeriali e parti sociali si è fermato, forse riprenderà, ma con quanto entusiasmo? Anche da parte dei lavoratori prevale la rassegnazione e forse l’unica cosa che succederà nel 2023 sarà la proroga di quota 102.

La pensione dei cinquantenni

Sul punto si è fatto recentemente sentire Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro ed esperto di previdenza.

Ha detto:

sarebbe estremamente positivo riprendere il  confronto sulla previdenza pur dovendo dare priorità alla tutela dei settori più colpiti dalle  conseguenze della guerra”.

L’obiettivo principale è quello di trovare una soluzione sostenibile per consentire l’uscita prima dei 67 anni ai lavoratori che ricadono nel sistema misto. Per un arco temporale di circa 10 anni, il tempo necessario al passaggio a regime del sistema di calcolo contributivo per tutti.

Parliamo in sostanza dei 45-55 enni, quella fascia di età di mezzo che interessa più da vicino le attese per una riforma pensioni flessibile. Basata sul ricalcolo contributivo della rendita a fronte di un anticipo dell’uscita dal lavoro.

Tre fasce di lavoratori

Damiano giunge a questa conclusione individuando tre fasce di lavoratori. Quelli che ricadono ancora totalmente nel sistema di calcolo (poche migliaia), quelli che ricadono nel sistema misto (45-55 enni) e quelli che ricadono nel sistema contributivo (giovani).

Per i primi e per i terzi il problema della riforma pensioni non si pone. Mentre è nella fascia di mezzo, quella più corposa, che ricadono le maggiori attenzioni per trovare una soluzione che consenta di non attendere i 67 anni della Fornero.

Posto che delle scappatoie già esistono (Ape Sociale, lavori gravosi, Opzione Donna, ecc.) e per il settore privato c’è l’isopensione e i contratti di espansione, resta di risolvere il problema per la generalità dei lavoratori.

L’idea di mandare tutti in pensione a 64 anni con un taglio dell’assegno pare l’unica soluzione sostenibile. Ma i sindacati non ne vogliono sapere. Da qui l’impasse che per ora blocca le trattative. In assenza di interventi, quindi, l’unica scappatoia per il governo sarà quella di prorogare nel 2023 quota 102, insieme alle altre deroghe alla Fornero.