Si dice che Opzione Donna sarà presto estesa anche agli uomini. Un segnale inequivocabile del cambiamento dei tempi anche per dare maggiore equità a un sistema pensionistico distorto e ingiusto.

Tuttavia ci sono alcuni elementi che fanno storcere il naso. Opzione Donna rischia infatti di non funzionare sugli uomini, in particolare per via del taglio dell’assegno che ne conseguirebbe. Come noto, Opzione Tutti consisterebbe nell’uscita anticipata dal lavoro a 58 anni di età (59 per gli autonomi) con almeno 35 anni di contributi versati.

La pensione, però, è calcolata solo col sistema contributivo e decorre dopo 12 mesi dalla maturazione dei requisiti (18 per gli autonomi).

Opzione Donna anche per gli uomini

Ma perché l’estensione di Opzione Donna rischia di non funzionare? Il problema – come dice Maurizio Landini, segretario Generale della CGIL, sta nell’importo della pensione che risulterebbe troppo basso rispetto al pensionamento con i requisiti ordinari.

Aprendo la strada di Opzione Donna anche ai maschi si rischia di discriminare fra lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. Il che si ridurrebbe in uno spartiacque fra chi può permettersi di smettere di lavorare a 58-59 anni e chi invece sarà costretto a rimanere al lavoro fino a 67.

Insomma, solo i benestanti potranno lasciare il lavoro in anticipo avendo, o una retribuzione alta per cui la pensione sarebbe comunque sufficiente per vivere, o altre entrate grazie alle quali poter compensare il taglio delle pensione.

Un ragionamento che si potrebbe fare anche per le donne, certo. Ma con opportune differenze sostanziali che bisogna tener presente. Per capirlo bisogna fare un passo indietro nel tempo.

Perché per le donne sì e per gli uomini no

Quando fu introdotta Opzione Donna nel nostro ordinamento nel lontano 2004, la Fornero ancora non esisteva. Sarebbe arrivata 8 anni più tardi. Pertanto il pensionamento anticipato allora era scelto da pochissime lavoratrici, potendo andare in pensione a 60 anni (dipendenti) con il sistema di calcolo retributivo o misto.

Opzione Donna è diventata interessante solo dal 2012, dopo la riforma Fornero che innalzava l’età pensionabile di vecchiaia a 66 anni. Da quel momento si sono alzate le richieste di uscita anticipata per le lavoratrici che ancor oggi destano clamore.

Tornando al 2004, bisogna quindi osservare che Opzione Donna era considerato più uno specchietto per le allodole che una vera e propria riforma. Era stata concepita giusto per riconoscere alle lavoratrici, che accettavano la pensione anticipata, quel ruolo importante e necessario della cura degli interessi familiari.

Quindi era palesemente evidente che gli uomini dovessero rimanere esclusi. Anche perché da lì a poco sarebbero comunque potuti andare in pensione. Le cose sono cambiate, come detto, con l’avvento della riforma Fornero.

L’equilibrio economico familiare

Oggi, quindi, Opzione Donna rappresenta una vera e propria via privilegiata di fuga che sostanzialmente si basa sulla possibilità di disporre di altri mezzi per vivere. Perché, come abbiamo visto, l’importo della pensione è troppo basso.

In un contesto familiare dove anche il marito o il compagno lavora, Opzione Donna ha un senso e funziona. Perché la donna va in pensione prima per occuparsi della faccende domestiche (che è sempre lavoro), mentre l’uomo prosegue l’attività lavorativa.

Ma cosa succederebbe se anche il lavoratore andasse in pensione prima con un assegno tagliato? Fatta eccezione per i casi in cui in famiglia ci sono altre entrate, nella generalità dei casi si arriverebbe a un impoverimento delle condizioni economiche per le quali lo Stato, alla fine, dovrà ancora intervenire.

Quanti soldi si perdono di pensione con Opzione Donna

Ma veniamo ai calcoli da fare per chi decide di andare in pensione con Opzione Tutti. Prendiamo ad esempio un operaio che dopo 35 anni di lavoro si ritrova un monte contributivo di circa 245 mila euro.

Tenuto conto del sistema di calcolo contributivo e del relativo coefficiente di trasformazione (4,289%), Opzione Tutti genera una pensione di 10.508 euro all’anno. Un importo che equivale a 808 euro al mese.

La stesso lavoratore andando in pensione a 67 anni con il medesimo monte contributivo, ma con coefficiente di trasformazione più alto (5,575%) riceverebbe un assegno di 13.658 euro, pari a 1.050 euro al mese. Quindi il 23% in più solo considerando la differenza di età anagrafica.

Se poi a ciò aggiungiamo il fatto che a 67 anni il lavoratore andrebbe in pensione con il sistema di calcolo misto, la differenza sarebbe molto più ampia di quanto finora prospettato. Viene quindi da domandarsi fino a che punto gli uomini sarebbero disposti a tagliarsi l’assegno.