Il futuro delle pensioni per i giovani è sempre più incerto. Con le attuali regole, raggiungere un livello di rendita dignitoso a fine carriera sarà prerogativa di pochi lavoratori, cioè di coloro che hanno carriere stabili e ben retribuite.

Queste le previsioni del presidente dell’Inps Pasquale Tridico ospite al programma di su Rtl 102.5 “Non stop news”. Non è una novità, ma l’evoluzione del quadro normativo previdenziale, alla luce dell’aumento dei costi della previdenza e della bassa natalità, non lasciano dubbi su cosa ci attende.

Pensioni dignitose solo con un lavoro stabile

In Italia ci sono 23 milioni di lavoratori che sostengono 16 milioni di pensionati su una popolazione di 60 milioni. Numeri che la dicono tutta sulla precarietà del sistema pensionistico italiano e sulla tenuta dei conti Inps nel lungo periodo. Ci sono poi 3,5 milioni di irregolari e altrettanti sottopagati. Di conseguenza, dice Tridico

I giovani lavoratori avranno accesso alla pensione solo se lavorano stabilmente e con carriere che sono retribuite in modo costante e dignitoso. Il problema è che ci sono ancora troppi lavoratori precari con carriere intermittenti e bassi salari“.

Del resto se i giovani si affidano ai cosiddetti ‘lavoretti’, o sono impegnati in settori a basso contenuto tecnologico, questo non consentirà loro una pensione. I giovani devono lottare contro il lavoro in nero, che non ha base contributiva e non consente accumulazione ai fini pensionistici.

In sintesi, quindi, per chi ricade nel sistema contributivo puro, andare in pensione rischia di diventare un miraggio. Per uscire a 67 anni occorre aver maturato una pensione pari ad almeno 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale (oggi 754 euro). In alternativa servono 41-42 anni e 10 mesi di contributi, altro traguardo sempre più difficile da raggiungere.

Il salario minimo e pensione di garanzia

Quello che serve in Italia, quindi, è la stabilizzazione del rapporto di lavoro e un salario minimo che eviti lo sfruttamento dei lavoratori, benché assunti regolarmente.

Perché retribuzioni inadeguate implicano versamenti contributivi minori e quindi pensioni più basse.

Nel nostro Paese – dice Tridico – ci sono 4,5 milioni di lavoratori sotto i 9 euro lordi l’ora. E’ una cifra impressionante. Il 15% dei lavoratori è povero”. Quasi la metà del part time delle donne è involontario. I bassi salari sono una leva di competizione“.

L’introduzione del salario minimo porterà quindi notevoli benefici ai lavoratori italiani e anche alle pensioni. Fissare una soglia sotto la quale le retribuzioni non possono scendere aiuta a far crescere l’importo delle pensioni future dei giovani. Lo Stato non dovrà più intervenire con politiche di sostegno e sussidi per arginare la povertà.