Si allungano i tempi della riforma pensioni. Il nodo intricato da sciogliere riguarda la flessibilità in uscita intorno al quale sindacati e governo non si trovano. Ragion per cui il confronto previsto per oggi è stato rimandato di una settimana.

Le parti restano distanti sulla flessibilità in uscita. Il governo pone dei limiti dicendo che la riforma pensioni dovrà essere finanziariamente sostenibile. I sindacati, dal canto loro, vorrebbero mandare tutti in pensione a 62-63 anni o con 41 di contributi versati.

Pensioni anticipate e penalizzazione

Bisogna quindi trovare un punto d’incontro sulle pensioni anticipate.

Quota 102, benché interessi poche migliaia di lavoratori, terminerà a fine anno e, in assenza di interventi, si tornerà per tutti alle regole Fornero.

Fra le varie ipotesi allo studio, è all’esame dei tecnici l’ipotesi avanzata da Michele Raitano, membro della commissione tecnica presso il Ministero del Lavoro. Nonostante la proposta presenti dei punti di criticità, di principio potrebbe funzionare.

Si tratta in sostanza di concedere la pensione a fronte di una penalizzazione di circa il 3% dell’assegno per ogni anno di anticipo rispetto ai requisiti ordinari.

Il calcolo della pensione sarebbe penalizzato solo per la parte dei contributi versati e maturati nel sistema retributivo (ante 1996) per cui ne deriverebbe un taglio dell’assegno limitato rispetto al calcolo pieno previsto dal sistema misto.

La flessibilità in uscita

A parte la proposta Raitano, sul tavolo restano comunque altre due ipotesi già studiate e che non dispiacciono all’esecutivo. E cioè il meccanismo di calcolo già testato per Opzione Donna, che diventerebbe una sorta di “opzione per tutti”, con pensione anticipata a partire dai 64 anni di età.

Ma anche la flessibilità in uscita proposta dal presidente Inps Pasquale Tridico che prevede la concessione della pensione in due tranches. La prima al compimento dei 64 anni a valere sulla parte del montante contributivo post 1995 (sistema contributivo).

E la seconda al compimento dei 67 anni per la restante parte dei contributi versati nel sistema retributivo.

Tutti escamotage che sono conseguenza di un solo problema: il pensionamento ordinario troppo penalizzante. In Italia si va oggi in pensione a 67 anni o con 42 anni e 10 mesi di lavoro (12 in meno per le donne). Rispetto alla media europea, siamo sopra di 2 anni, il che rende il nostro sistema pensionistico iniquo complesso.