Senza la riforma pensioni Fornero l’Italia sarebbe già andata in default. A dirlo è la stessa ex ministra al Welfare durante il Governo Monti nel 2011 in una recente intervista su Rai 3. E ha sottolineato come il provvedimento, benché impopolare, abbia messo al sicuro il Paese.

Allora si arrivava da una situazione finanziaria allo sbando, aggravata dalla crisi economica internazionale esplosa con la bolla dei mutui subprime negli USA e dal crack di Lehman Brothers. Il bilancio italiano era appesantito dai continui aumenti di spesa pubblica.

Soprattutto sulle pensioni, diventate inadeguate rispetto alla speranza di vita. Mantenere lo status quo – dice Elsa Fornero – avrebbe implicato un forte aumento delle tasse per tutti i contribuenti e un tracollo economico e sociale.

L’odiata riforma che salvò l’Italia

A distanza di 11 anni da quella dolorosa riforma che mandò in archivio le pensioni di anzianità e alzò l’età pensionabile adeguandola alle aspettative di vita possiamo dire oggi che fu fatta la cosa giusta. Impopolare, ma giusta. Fu un salto nel vuoto e creò non pochi problemi. Come quello degli esodati, oltre a costringere i lavoratori a lavorare più a lungo e i giovani a ritardare l’ingresso nel mondo del lavoro.

A pesare sulla spesa previdenziale a quei tempi era sostanzialmente il sistema di calcolo degli assegni pensionistici, tarato sul sistema retributivo che la riforma Dini del 1995 non riuscì a mandare del tutto in soffitta, ma solo con gradualità nel tempo. Un errore madornale che paghiamo ancora oggi e che portò come conseguenza al taglio drastico delle pensioni nel 2012 con un intervento dirompente targato Fornero.

Quella manovra finanziaria, approvata a larga maggioranza dal Parlamento, ad eccezione della Lega, fu collegata al famoso Decreto Salva Italia. Le misure introdotte – secondo lo stesso ex premeir Mario Monti – erano finalizzate al risparmio di spesa pubblica volta a evitare il default finanziario dello Stato nell’ambito della crisi del debito sovrano europeo.

Oggi (siamo nel 2023), possiamo tranquillamente constatare che la Fornero aveva ragione. La spesa previdenziale, nonostante la riforma impopolare di allora, è salita a 312 miliardi di euro (dati Inps 2021), cioè il 25% in più rispetto al 2010. La domanda da porsi, quindi, è: a che livello saremmo arrivati oggi senza quell’intervento lacrime e sangue?

Le novità introdotte dalla Fornero

Fra i punti salienti della riforma pensioni del 2012 ricordiamo i seguenti:

  • estensione pro-rata del metodo contributivo a quelli che erano precedentemente esclusi dalla Riforma Dini del 1995, che l’ha introdotto, (cioè coloro che nel 1995 avevano già 18 anni di contributi versati), a decorrere dall’1.1.2012;
  • aumento di un anno delle pensioni di anzianità, ridenominate “anticipate” e abolizione delle cosiddette quote (somma di età anagrafica e anzianità contributiva);
  • allungamento graduale entro il 2018 dell’età di pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti private da 60 anni a 65 (più “finestra” mobile di 12 mesi decisa dalla L. 122/2010), per allinearle a tutti gli altri;
  • adeguamento all’aspettativa di vita, dopo quello del 2019, non più a cadenza triennale ma biennale;
  • blocco totale della perequazione delle pensioni superiori a 3 volte il trattamento minimo per gli anni 2012–2017 (poi, come già rilevato, dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 70/2015);
  • riduzione da 18 mesi a 12 della “finestra” mobile per i lavoratori autonomi (equiparandoli, dunque, a tutti gli altri).

Il quadro europeo delle pensioni

Anche Germania e Francia oggi hanno seri problemi di bilancio pubblico. A Parigi Macron sta portando avanti una battaglia per aumentare l’età delle pensioni da 62 a 64 anni. Pena lo sconquasso dei conti pubblici. A Berlino si sta invece ragionando su l’allungamento di un anno dell’età di uscita dal lavoro. A seguire, in ordine sparso, ci sono tutti gli altri Paesi europei, chi più e chi meno con riforme da fare o rifare.

Per tutti il problema comune denominatore è uno solo: l’aumento della spesa pubblica per le pensioni non più sostenibile nel tempo di fronte a salari in contrazione e al crollo demografico. Al punto che ci si domanda spesso se era più giusto com’erano le pensioni alla fine del secolo scorso o come saranno in futuro. Il tasso di sostituzione (rapporto fra ultima busta paga e pensione) è in diminuzione ovunque.

E in Italia? Si discute oggi di Quota 41, di aggiustamenti alla flessibilità. Ma è poca cosa rispetto ai problemi che hanno gli altri Paese europei, ma solo perchè li abbiamo già affrontati. Dire che siamo un passo avanti è, tuttavia un’eresia perché il nostro sistema pensionistico non è uguale a quello degli altri ed è costellato da ingiustizie e iniquità. Anche se non meno che altrove.

In fatto di flessibilità – ricorda la Fornero – siamo già avanti rispetto all’estero e abbiamo fatto parecchio per tutelare le categorie di lavoratori meritevoli di maggiori tutele previdenziali. Si pensi ad Ape Sociale, ad esempio, strumento principe che potrà essere perfezionato e allargato. Ma anche al lavoro femminile che trova adeguata rispondenza in Opzione Donna.