Se il Pil dell’Italia crolla, anche le pensioni si abbassano. Non quelle esistenti, ben inteso, ma le pensioni che devono ancora essere liquidate fra qualche anno.

Molti non lo sanno, ma la riforma pensioni del 1995 fatta dal governo di Lamberto Dini, prevede che il montante contributivo si rivaluti in base all’andamento del Pil. Più precisamente quella parte di montante che ricade nei versamenti previsti per il calcolo contributivo, cioè effettuati dal 1996 in poi. E chi più ne ha, più sarà soggetto alle variazioni dell’economia del Paese.

Se questa cresce, anche le pensioni cresceranno, ma se crolla?

Pensioni: rivalutazione del montante contributivo

Vi è da dire che il montante contributivo non recepisce nell’immediato le variazioni positive o negative del Pil. La legge prevede che i contributi versati siano annualmente rivalutati in base all’andamento della crescita nominale del prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni (il cd. tasso di capitalizzazione). Pertanto, le variazioni del Pil del 2020 non impatteranno sul montante contributivo per i prossimi tre anni. Ma inizieranno a farsi sentire a partire dal 2023. Per cui chi andrà in pensione da quella data in poi dovrà mettere in conto anche lo straordinario crollo del Pil di quest’anno conseguente al lockdown.

Gli ammortizzatori sulle pensioni

Per non penalizzare eccessivamente i lavoratori che andranno in pensione, nel 2015 è stato introdotto un sistema di ammortizzatori (decreto Poletti). In sostanza, poiché più si va avanti col tempo e più il montante contributivo sarà soggetto alle variazioni del Pil, il governo ha introdotto dei limiti agli eccessi negativi del Pil. Secondo il DL numero 65 del 2015,

il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo, come determinato adottando il tasso annuo di capitalizzazione, non può essere inferiore a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive”.

In altre parole, la variazione negativa del Pil sarà spalmata sulla rivalutazione del montante contributivo negli anni successivi.

Non ci sarà quindi un salto negativo delle pensioni nel 2023 per via del crollo del Pil di quest’anno. Per cui chi andrà in pensione non dovrà preoccuparsi. Certo è che, in ogni caso, il tonfo dell’economia nel 2020 sarà contabilizzato anche sulle pensioni future, benché in maniera soft. Per fare un esempio e posto che il tasso annuo di capitalizzazione non può essere inferiore a uno, se in futuro il Pil dovesse crescere del 3-4%, la variazione positiva sarebbe compensata con quella negativa del 2020.

Il sistema di calcolo contributivo delle pensioni

Ma, al di là degli aspetti tecnici, quello che è bene sapere è che l’assegno pensionistico che verrà liquidato nei prossimi anni sarà inferiore anche per un altro motivo. Quello del sistema di calcolo che ormai vede quasi tutte le pensioni future liquidabili col sistema contributivo puro o misto. In pratica, la parte di pensione calcolata sui i contributi versati dal 1996 in poi sarà inferiore rispetto allo stesso periodo calcolato prima del 1996, cioè nel sistema retributivo. Il risultato finale è che l’assegno sarà eroso. Non solo da un sistema di calcolo più penalizzante rispetto al passato, ma anche dalla rivalutazione decrescente del montante per la parte contributiva dei versamenti. In pratica è come se un libretto di risparmio non fruttasse più interessi e, anzi, il capitale rischiasse di svalutarsi nel tempo.

Quanto si perde con il crollo del Pil

Ma torniamo alla rivalutazione del montante e ai coefficienti di trasformazione. Posto che la crescita dei Pil italiano sarà molto negativa e, nelle migliori delle ipotesi, anemica per i prossimi anni, a quanto potrebbe ammontare la riduzione dell’assegno in futuro? Secondo le simulazioni degli esperti, la perdita di rivalutazione del montante nella parte contributiva potrebbe sfiorare il 2,5%, con una perdita potenziale del 1,6% rispetto a quest’anno su una pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi versati prima del 1996.

Fatto 1.000 l’importo dell’assegno, si tratterebbe di 16 euro al mese. Ma è evidente che il passare del tempo non gioca a favore dei futuri pensionati che potranno solo sognare gli assegni percepiti dai loro genitori. A meno che il legislatore non intervenga per salvaguardare gli interessi dei lavoratori