La sostenibilità del sistema pensionistico italiano è legato alla questione demografica. Negli ultimi tempi si sta dibattendo, a più livelli, del calo della natalità nel nostro Paese. Il che rende difficile avere in futuro una forza lavoro attiva tale da poter pagare le pensioni. Nessuna riforma, in tal senso, sarà possibile, come ha detto il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

Oltre alla denatalità c’è anche l’invecchiamento della popolazione da considerare che si traduce inevitabilmente in maggiore spesa per le pensioni e per l’assistenza.

Ma se mancano i contributori alla base, il sistema è destinato ad implodere nel lungo periodo. E queste proiezioni sono già all’attenzione del governo.

Pensioni e denatalità

Per restare in equilibrio, il sistema ha bisogno di almeno 15 lavoratori ogni 10 pensionati. Solo così, – secondo l’Inps – potremmo dormire sonni tranquilli. Ma la tendenza è al ribasso. Già oggi siamo sotto il rapporto di 1,4 e nel 2050, se le cose non cambieranno, arriveremo a 1 lavoratore per ogni pensionato.

L’apporto dell’immigrazione si sta rilevando insufficiente, nonostante l’aumento dei flussi e la regolarizzazione dei rapporti di lavoro. Nei prossimi anni, poi, l’uscita verso la pensione subirà un’impennata perché saranno coinvolti tutti i baby boomers degli anni 60-70, quando ai tempi si registravano 1 milione di nascite all’anno (oggi meno di 400 mila).

Ma in Italia il crollo demografico è accompagnato anche da una scarsa partecipazione al lavoro delle donne. Il che incide sull’equilibrio pensionistico generale. E spesso le donne che lavorano sono impiegate in contratti part-time per ragioni familiari.

La partecipazione femminile al lavoro

E’ riscontrato che l’Italia ha un tasso di partecipazione femminile al lavoro fra i più bassi d’Europa. Secondo le statistiche è di appena il 61%, contro una media Ue del 74%. Se nei prossimi anni questo divario dovesse restringersi, sarebbe già un successo per le pensioni future.

Se, calcolando la popolazione femminile, la partecipazione al mondo del lavoro fosse la stessa della media europea avremmo almeno 300 mila occupate in più.

Qualora, invece, dovessimo raggiungere il livello di occupazione dei Paesi nordici d’Europa (84%), avremmo addirittura 2 milioni di occupate in più. Numeri che renderebbero sostenibile il sistema pensionistico italiano in futuro.

Fatta salva la pubblica amministrazione dove la parità dei diritti è rispettata, è nel settore privato che le donne faticano a inserirsi per lavorare. In Italia resistono ancora forti pregiudizi, soprattutto al Sud dove il tasso di occupazione femminile è nettamente più basso che al Nord.

In pensione con Opzione Donna

Ma a determinare il calo della forza lavoro femminile sono anche le pensioni anticipate. Grazie al meccanismo previsto da Opzione Donna, dove decine di migliaia di lavoratrici hanno potuto lasciare il lavoro a 58 anni di età, il sistema è andato in disequilibrio.

Lo sbilanciamento fra popolazione attiva (lavoratori) e passiva (pensionati) è causato anche da questa deroga che, benché sia stata attuata per tutelare maggiormente le donne, ha spostato l’ago della bilancia del sistema pensionistico in senso negativo. In buona sostanza, per ogni lavoratrice che lascia in anticipo il lavoro si va ad aumentare la spesa pensionistica. E questo ha contribuito ad aggravare la sostenibilità del quadro previdenziale nel suo complesso.

Riassumendo…

  • La denatalità rischia di compromettere la sostenibilità del sistema pensionistico.
  • Per stare in equilibrio il sistema ha bisogno di almeno 15 lavoratori ogni 10 pensionati.
  • L’apporto migratorio è insufficiente a sostenere le pensioni future.
  • Un maggiore impiego della manodopera femminile aiuterebbe a risolvere il problema.
  • In Italia abbiamo fra i più bassi tassi di partecipazione in Europa delle donne al lavoro.