Con il pagamento delle pensioni di marzo sono scattati anche gli aumenti previsti dalla perequazione automatica 2023. Non tutti gli assegni sono, però, stati incrementati. Solo alcuni pensionati hanno visto l’importo salire rispetto al mese precedente.

Cosa è successo? Come spiegato in precedenti articoli, la legge finanziaria ha disposto la rivalutazione delle pensioni a partire da marzo solo per le pensioni medio-alte. Tutte le altre sono state adeguate all’inflazione già dal 1 gennaio quindi sono già state rivalutate.

Chi ha ricevuto gli aumenti a marzo

Più precisamente, chi percepisce una pensione mensile pari o inferiore a 4 volte il trattamento minimo (2.101,52 euro) non si è visto aumentare l’assegno a marzo.

Questo perché la perequazione automatica in base al tasso di inflazione definitivo per il 2022 è già scattata dal 1 gennaio 2023. Mentre chi percepisce importi di pensione superiore si è visto riconoscere la differenze e gli arretrati da gennaio con il pagamento del terzo rateo di pensione.

Volendo fare un esempio pratico, per chi riceve una pensione di 1.500 euro al mese non cambia nulla rispetto al cedolino di febbraio: la sua rendita è già stata rivalutata del 7,3% a partire dal mese di gennaio. Chi, invece, percepisce un assegno da 3.000 euro al mese ha ricevuto col terzo rateo di pensione la differenza di rivalutazione dai 1.500 euro in su. Compresi gli arretrati di gennaio e febbraio.

I ritardi dovuti a questioni tecniche legati alla tardiva approvazione della legge di bilancio 2023, sono stati così colmati. Tutti i pensionati hanno quindi ricevuto gli aumenti previsti dalla perequazione automatica di quest’anno, anche se in misura non piena per via dell’introduzione da delle nuove fasce di reddito. Vediamo bene di cosa si tratta.

Le fasce di rivalutazione delle pensioni

In sintesi, chi percepisce pensioni fino a 2.101,52 euro di importo lordo ha ricevuto una rivalutazione piena della pensione e non vedrà ulteriori aumenti (circolare n. 135 del 22 dicembre 2022).

Chi, invece, percepisce importi di rendita superiori a tale soglia si vedrà accreditare un po’ di meno.

Più esattamente la riduzione è proporzionale al reddito da pensione. Il taglio arriva fino a due terzi per gli importi superiori a circa 5.700 euro al mese. Lo schema delle rivalutazioni è il seguente:

  • 100% fino a 4 volte il trattamento minimo
  • 85% da 4 a 5 volte il trattamento minimo
  • 53% da 5 a 6 volte il trattamento minimo
  • 47% da 6 a 8 volte il trattamento minimo
  • 37% da 8 a 10 volte il trattamento minimo
  • 32% oltre le 10 volte il trattamento minimo

Tali misure comportano anche un aumento dei prelievi del fisco (Irpef) per chi, in conseguenza degli aumenti, supererà lo scaglione fiscale di appartenenza. Il che si traduce in una pensione netta più bassa.