Il tasso di inflazione definitivo 2022 è stato del 8,1% e le pensioni aumenteranno ancora. A certificarlo è l’Istat che ha emesso una nota ufficiale a riguardo recependo ed elaborando i dati definitivi dei pressi al consumo dei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2022.

Ciò comporta che le pensioni in pagamento dovranno essere ricalcolate e adeguate ai nuovi parametri. Il Ministero dell’Economia ha infatti disposto finora un aumento delle pensioni del 7,3% a partire dal gennaio 2022. Resta quindi uno 0,8% di differenza ancora da corrispondere ai pensionati.

Le pensioni crescono meno dell’inflazione

Detta differenza fra i dati provvisori e quelli definitivi dell’Istat sarà tuttavia corrisposta a partire da gennaio 2024, come previsto dalla legge. Non è una novità, si fa così tutti gli anni. Nel frattempo, però, ne va del potere di acquisto dei pensionati che dovranno attendere altri 11 mesi per vedersi riconoscere i conguagli con tutti gli arretrati del 2023.

Tecnicamente non si tratta di un errore – spiegano gli esperti – ma semplicemente di un adeguamento contabile che tutti gli anni è recepito in due fasi distinte. Ovviamente questo comporta una penalizzazione per i pensionati costretti a riconcorrere con quasi un anno di ritardo l’inflazione. Mentre è un vantaggio per lo Stato che così facendo risparmia ritardando i pagamenti. Tutto naturalmente prestabilito e non lasciato al caso.

Ma in concreto di quanto stiamo parlando? Per le pensioni fino a 2.101,52 euro al mese, cioè quelle rivalutate al 100% dalla finanziaria 2023, si tratta di un conguaglio lordo di 16,8 euro la mese in più. O meglio 218,40 euro all’anno. Per importi superiori bisognerà tenere conto delle fasce di rivalutazione introdotte dalla legge di bilancio e che prevedono tagli fino a due terzi degli aumenti previsti (vedi sotto).

Le fasce di rivalutazione

Ma a parte i tempi di attesa per avere i conguagli sulle pensioni, appare paradossale che chi percepisce più di 2.101,52 euro lordi di rendita mensile non abbia ancora ottenuto la rivalutazione decretata dal Mef. Il pagamento degli aumenti è infatti slittato a marzo.

Altro ritardo che va a tutto vantaggio del debitore, cioè dello Stato.

Intanto il conto dell’inflazione lo paga la classe media. In altre parole, chi percepisce importi di pensione medio alti (non stiamo parlando di pensioni d’oro o d’argento) subirà una svalutazione maggiore rispetto a chi percepisce pensioni più basse, in base anche alle nuove fasce di rivalutazione che sono:

  • 100% fino a 4 volte il trattamento minimo;
  • 85% da 4 a 5 volte il trattamento minimo;
  • 53% da 5 a 6 volte il trattamento minimo;
  • 47% da 6 a 8 volte il trattamento minimo;
  • 37% da 8 a 10 volte il trattamento minimo;
  • 32% oltre le 10 volte il trattamento minimo.

In questo caso il famoso detto “virtus in medio stat”, la virtù sta nel mezzo, risulta essere alquanto inesatto.