Se qualcuno spera ancora in una riforma pensioni e di evitare il ritorno integrale delle regole Fornero nel 2023, si metta l’animo in pace. Per evitarlo servirebbe una rivoluzione finanziaria, più che una riforma. Il che è impensabile.

Il nuovo governo (come il vecchio), non ha la bacchetta magica per rimettere a posto lo sconquasso previdenziale a cui siamo approdati dopo decenni di miope e allegra finanza. Colpa di politiche dissennate del passato, di riforme fatte male o a metà e di rinunce che nessuno ha mai voluto accettare.

Riforma pensioni addio

Così siamo arrivati oggi al punto di non ritorno con una spesa previdenziale astronomica e non più sostenibile. Cosa che l’Inps ha certificato in 312 miliardi di euro lo scorso anno. A un passo dal 16% del Pil, ma con la tendenza a salire ben oltre il 17,5% nei prossimi tre anni.

Stando alla Nadef, recentemente presentata dal governo al Parlamento, alla fine del prossimo triennio la spesa previdenziale arriverà a 350 miliardi di euro. Anche col ritorno alla Fornero per tutti. Ben 100 miliardi in più rispetto a dieci anni fa. Nel conto ci va anche il costo delle rivalutazioni degli assegni che spinge l’asticella dei costi sempre più verso l’alto.

Quindi, spazio per le pensioni anticipate non ce n’è più. Veramente. Pena il default dello Stato. Già l’Inps ha messo in guardia parlamentari per un possibile scivolamento dell’istituto verso un patrimonio netto negativo da 92 miliardi entro il 2029. Stime che si basano anche e in particolare sulle disastrose previsioni demografiche dell’Istat e di quelle contenute nei documenti di finanza pubblica.

Il problema demografico

C’è quindi un problema demografico. Oggi in Italia c’è una nascita ogni due decessi. Di questo passo a fine secolo la popolazione italiana sarà più che dimezzata. Solo 390 mila nascite nel 2021.

In questo contesto, secondo gli esperti, nemmeno le regole Fornero saranno in grado di tenere in equilibrio la spesa per le pensioni.

E così, il crollo delle nascite nel nostro Paese, non solo rappresenta un problema demografico e di conservazione delle popolazione, ma anche di tenuta del sistema economico.

L’incremento della denatalità in Italia, infatti, rende il sistema sociale debole e instabile. Tutti i Paesi europei sono di fatto in crisi, ma per l’Italia il problema è più accentuato. Come ha detto Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat:

“a tassi di natalità che vanno poco oltre il 5 per mille si contrappongono tassi di mortalità ben al di sopra del 10 per mille”.

In questo contesto negativo che dura ormai da anni, inutile farsi illusioni: la spesa per le pensioni non può reggere. Soprattutto in un Paese che spende il 17% del Pil per la previdenza e che, di fatto, ha finora mandato i lavoratori in pensione prima rispetto al resto d’Europa.

Quota 41 e caro energia pesano sulle pensioni

A complicare le cose c’è adesso anche il caro energia a cui l’Italia non era preparata. L’impennata dei costi delle materie prime energetiche che importiamo riduce ulteriormente i margini di manovra dello Stato sulle pensioni.

La premier in pectore Giorgia Meloni ben poco potrà fare se non dare la precedenza a urgenti interventi fiscali per evitare lo scivolamento di ampie fasce della popolazione verso la povertà. Come certificato dall’Istat, che nel suo report evidenzia come nel 2021 poco più di un quarto della popolazione era a rischio di povertà o esclusione sociale (25,4%).

In questo senso, Quota 41 (in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica) diventa una chimera. Costerebbe 18 miliardi di euro in tre anni e darebbe una ulteriore spinta verso l’alto al debito pubblico. Quindi non si farà.

Bonomi: basta coi prepensionamenti

Ad alzare gli scudi contro le pensioni anticipate è anche il settore industriale.

In una recente intervista Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, ha detto che

non possiamo permetterci flat tax e prepensionamenti. Non vogliamo negare ai partiti di perseguire le promesse elettorali ma oggi energia e finanza pubblica sono due fronti di emergenza che non possono ammettere follie per evitare l’incontrollata crescita di debito e deficit”.

Difficile dargli torto in un contesto economico come quello attuale. Del resto se si andranno a spendere altri soldi (che non ci sono) per le pensioni, il Paese rischia solo di anticipare un collasso finanziario a cui è probabilmente destinato, come ammonisce anche l’Inps.

I prepensionamenti sono stati finora una mina che aggravano un quadro già precario di sostenibilità dei conti pubblici. Se oggi non ci sono più spazi di manovra per evitare il ritorno alla Fornero – dicono gli esperti – è anche per colpa di Quota 100 e di tante altre deroghe fatte dal 2012 in poi.