Si fa un gran parlare di pensioni anticipate, di riforma delle pensioni e di uscite dal mondo del lavoro. I ripetuti summit tra Governo e sindacati, anche tra rinvii e posticipi dimostra come i lavori per la riforma delle pensioni vadano avanti spediti. Le novità 2023 sono state poche e altamente discutibili. Fatta eccezione per l’Ape sociale, rimasta praticamente inalterata rispetto allo scorso anno, le altre novità sono alquanto particolari. Con la quota 103 è nata una pensione a 62 anni di età che però per essere fruita necessita di una lunghissima carriera fatta da 41 anni di contributi.

Opzione Donna, prorogata ma corretta, consente le uscite a 60 anni, ma vincolate a determinate categorie di lavoratrici. E con sconti sull’età in base ai figli avuti. Ma proprio da Opzione Donna potrebbe partire una misura capace di riformare il sistema. Aprendo a un pensionamento a 60 anni come lo era una volta per tutti coloro che sfruttavano le vecchie pensioni di anzianità.

“Buonasera, sono un lavoratore di 59 anni con 35 anni di carriera alle spalle. Ho 35 anni di contributi pieni, ma sono giovane per la pensione. Sento dire però che potrebbe nascere una specie di Opzione Donna anche per noi uomini. Che consentirebbe di andare in pensione a 60 anni con 35 anni di contributi. Si parla di calcolo contributivo e tagli di pensione, ma a me non interessa. Vorrei soltanto lasciare il lavoro e andare in pensione. A costo di rimetterci dei soldi. La misura si farà?”

Breve storia delle ultime riforme delle pensioni

Senza dubbio la riforma Fornero è l’insieme delle normative previdenziali più discusse e discutibili degli ultimi decenni. Prima dell’avvento della riforma Fornero c’era stata una riforma Amato, oppure la riforma Dini. Quest’ultima è quella a cui si deve l’inserimento nel sistema della pensione contributiva. In pratica da quella riforma il sistema ha svoltato verso un calcolo degli assegni basato sul metodo contributivo.

Non più la retribuzione a farla da padrona sul calcolo delle pensioni, bensì i contributi. E le pensioni sono calcolate in maniera meno favorevole ai pensionati in virtù proprio in questo nuovo calcolo della prestazione. Che però trova giustificazione dal punto di vista dell’equità di calcolo. Perché evidentemente questo genere di calcolo è basato effettivamente su quando ogni lavoratore lascia alla futura pensione durante l’attività lavorativa.

Con la riforma Fornero invece, più che di equità il discorso è andato sul sacrificio chiesto agli italiani di fronte a una grave crisi economica che in quegli anni stava colpendo il Paese. Fu infatti il decreto Salva Italia del Governo Monti che introdusse queste misure per i pensionati. Tutti ricordano le lacrime dell’allora ministro del lavoro Elsa Fornero  quando parlò di tagli sulle pensioni e di sacrifici per i pensionati. Erano i tempi dello Spread impazzito e della manovra lacrime e sangue di quel governo tecnico.

Come si andava in pensione prima dell’avvento della riforma Fornero

Prima della Fornero si andava in pensione a 65 anni di età e 20 anni di contributi versati se il lavoratore era uomo. Si usciva invece con 60 anni di età e 20 anni di contributi versati per le donne, e solo nel pubblico impiego le lavoratrici dovevano aspettare i 61 anni di età. Le pensioni distaccate dai limiti di età si chiamavano pensioni di anzianità (fu la riforma Fornero a debellarle sostituendole con le pensioni anticipate). Una volta raggiunti i 40 anni di contributi versati il lavoratore, a prescindere da tutto, era libero di andare in pensione.

In alternativa, una volta raggiunti i 60 anni di età e una volta completati i 35 anni di contributi versati, se grazie alle frazioni di anno si raggiungeva anche la quota 96, si poteva comunque lasciare il lavoro.

E proprio la quota 96 probabilmente è la cosa che ha lasciato più nostalgia nei lavoratori. A tal punto che i discorsi che si fanno su un’estensione dell’Opzione Donna a tutti i lavoratori e non solo alle lavoratrici private è una cosa che appare molto simile alla quota 96 di un tempo.

Ecco la pensione a 60 anni per tutti nel 2024, se le ipotesi diventeranno realtà

Il nostro lettore ha ragione quando sostiene che si parla con insistenza di un allargamento di Opzione Donna alla generalità dei lavoratori. Certo, non è l’unica misura che si pensa di inserire nel sistema. E quindi, si parla comunque di una ipotesi perché nulla è ancora deciso su una riforma delle pensioni che tutto è tranne che una cosa facile da portare a compimento. Resta il fatto però che c’è chi vorrebbe introdurre un pensionamento a partire dai 60 anni di età per tutti i lavoratori e non solo per le donne. E la quota contributiva da raggiungere resterebbe quella dei 35 anni simile ad Opzione Donna. Ciò che verrebbe introdotto come deterrente alla misura così favorevole in termini di uscita dal lavoro è il calcolo contributivo della prestazione.

Ma come ci dimostra il nostro lettore ci sono soggetti che anche di fronte a tale penalizzazione di assegno (supera in certi casi il 30%), non vedrebbero in negativo la possibilità di uscire dal lavoro in questo modo. Secondo noi le possibilità che una misura del genere venga introdotta non sono del tutto campate in aria. Anche perché come dimostra Opzione Donna, non sono molte le lavoratrici che hanno aderito a una prestazione che prevede pesanti tagli di assegno. A vantaggio della misura e delle possibilità di inserimento nel sistema, c’è la bontà dal punto di vista della spesa pubblica. Infatti per chi invece vi aderisce, la misura nel lungo periodo diventa assolutamente sostenibile da parte dello Stato e dal punto di vista dei costi per il sistema.