Il 31 dicembre 2021 scade quota 100, ossia l’attuale requisito per andare in pensione, in base al quale il trattamento pensionistico scatta con 38 anni di contributi e 62 anni di età. Dalle pensioni 2022, salvo (si auspicano) interventi delle parti politiche, ritornerà la legge Fornero che prevede l’uscita dal lavoro all’età anagrafica dei 67 anni.

Quindi, 5 anni in più rispetto ai 62 anni della quota 100. Ciò si tradurrebbe in discriminazione per chi è nato a cavallo d’anno. Si pensi a chi compie 62 anni a dicembre 2021 (rientra nell’attuale quota 100) e chi, invece, li compie a gennaio 2022 (rientrerà nella legge Fornero e, quindi, dovrà restare nel mondo del lavoro altri 5 anni).

Diverse, sono, comunque, le ipotesi che si valutano per evitare il ritorno alla Fornero. Vediamone, qui, alcune.

Pensioni 2022: si propone la quota 41

Una delle ipotesi che potrebbe essere al vaglio del governo (e che piace anche ai sindacati), a decorrere delle pensioni 2022, è la quota 41, ossia un sistema che permetterebbe la pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età.

Tuttavia, ciò si tradurrebbe in un appesantimento per le casse dello Stato. C’è poi la proposta per i dipendenti pubblici con uno scivolo di 5 anni. In altre parole il dipendente pubblico potrebbe decidere di uscire dal lavoro con 62 anni di età pagando personalmente l’anticipo. Quindi, con tale sistema sarà il dipendente stesso che si paga l’uscita anticipata dal lavoro. Ciò permetterebbe alle casse dello Stato di compensare i costi.

Il ritorno al contratto di espansione potenziato

Altra ipotesi al vaglio è il contratto di espansione con un suo potenziamento. Si tratta di un contratto che permette al lavoratore, che si trova vicino alla pensione, di anticipare, fino a 5 anni, l’uscita dal lavoro oppure di ottenere una riduzione dell’orario di lavoro fino al 30%.

La stipula di tale contratto prevede la percezione della cassa integrazione fino alla pensione stessa ed a costo zero per l’azienda.

L’accesso al contratto di espansione, ricordiamo, è legato ad una trattativa con in sindacati e richiede che l’azienda che intenda adottarlo predisponga un piano di assunzioni finalizzato alla reindustrializzazione e al ricambio generazionale.

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