Andare in pensione a 62 anni con 41 di contributi (Quota 103) non conviene più. Come noto, la legge di bilancio ha modificato il sistema di calcolo della rendita imponendo il solo metodo contributivo anche per i periodi di lavoro più vecchi, quelli prestati prima del 1996. Derivandone una penalizzazione dell’assegno che può arrivare anche al 17%.

Di fatto, però, Quota 103, introdotta lo scorso anno come scalino fra la fine di Quota 102 e la pensione di vecchiaia, è un’opzione liberamente percorribile. Ma solo per chi è disposto a subire un taglio, anche profondo, della rendita può sfruttarla.

E non saranno molti i lavoratori nel 2024 a farlo, al punto che si stimano pochissime domande di pensione.

In pensione con Quota 103 conviene o no?

Al contrario, i lavoratori dipendenti che maturano il diritto a uscire con Quota 103 possono chiedere di restare al lavoro con la maggiorazione dello stipendio grazie agli incentivi previsti dalla legge (ex bonus Maroni). In pratica, rinunciando alla pensione anticipata, lo Stato permette al datore di lavoro di restituire direttamente in busta paga la quota assicurativa IVS a carico del lavoratore (9,19%) e destinata all’Inps.

In questo caso, il diritto a Quota 103 vale più della misura della pensione. Rinunciando a uscire a 62 anni di età, il lavoratore può tranquillamente trattenersi al lavoro ancora per un po’ prendendo uno stipendio più alto. Parallelamente non subirebbe un taglio dell’assegno, accettando di andare in pensione anticipata. Cosa che, peraltro, avverrebbe a distanza di 7 mesi dalla maturazione del requisito (9 mesi se trattasi di dipendente pubblico), visto che le finestre mobili si sono allungate di parecchio rispetto al 2023.

Diverso il discorso per i lavoratori autonomi. Per costoro l’incentivo economico non è previsto e il loro contributo previdenziale IVS non comprende la quota del 9,19% come per i lavoratori dipenenti. Per cui, in questo caso, Quota 103 non dà alcun diritto supplementare diverso da quello del pensionamento anticipato.

Da Quota 103 alla pensione ordinaria

Il lavoratore dipendente che matura il diritto a Quota 103 ha quindi due possibilità: uscire in anticipo subendo un taglio dell’assegno o trattenersi al lavoro fino alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia. In quetso secondo caso, come detto, percepirebbe una retribuzione maggiorata grazie al ristorno in busta paga della propria quota contributi IVS destinata all’Inps.

Non solo. Eviterevve anche di dover attendere 7 o 9 mesi di tempo prima di vedere pagato dall’Inps il primo assegno di pensione e, in caso, di importo elevato, non subirebbe riduzioni. Quota 103 prevede infatti il pagamento della prestazione nei limiti massimi di 4 volte l’importo del trattamento minimo fino all’età della pensione di vecchiaia. Certo, questo implica di dover lavorare ancora e non tutti, dopo 41 anni di sacrifici, ne hanno più volgia.

In quetso caso c’è anche la possibilità di trattenersi al lavoro solo pochi mesi in più. Fintanto che si raggiungono i 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) per chiedere la pensione anticipata ordinaria. Per le donne è un passo più breve rispetto agli uomini e ciò permetterebbe di evitare tagli e lunghi tempi di attesa prima di vedere arrivare il primo assegno. La finestra mobile in quetso caso è di 3 mesi per i lavoratori del settore pirvato e 6 mesi per quelli pubblici.

Riassumendo…

  • La pensione con Quota 103 diventa da quest’anno più penalizzante.
  • I lavoratori dipenenti ottengono il diritto a uno stipendio più alto in cmabio della rinuncia alla pensione anticipata.
  • Con pochi mesi di lavoro in più si evitano i tagli previsti da Quota 103.