Buongiorno,
a luglio compirò 63 anni e ho 35 anni di contributi e dal gennaio 2015 sono disoccupato. Ero un lavoratore autonomo e non ho mai usufruito di alcun aiuto economico, la mia pensione futura dovrebbe essere di 803 euro a novembre del 2022 (calcoli INPS) e quindi quasi sicuramente non potrò usufruire dell’anticipo pensionistico erogato dalle banche. Il quesito che le pongo è il seguente: ultimamente vi è stata una sentenza che attribuisce anche alle donne straniere, ma residenti, di usufruire del bonus bebè perché si è trattato di discriminazione razziale, in contrasto con l’articolo 14 dei diritti dell’uomo. Nel caso dell’ape sociale un ex dipendente con i miei stessi requisiti ne ha diritto mentre a me vengono posti dei paletti ( solo se disabile, solo se assiste un malato……) come mi è stato detto da dirigenti INPS. Io credo si tratti di discriminazione di natura sociale, anche questa prevista dall’articolo citato in precedenza: Lei cosa ne pensa?
La ringrazio anticipatamente per quanto potrà dirmi.
Cerchiamo di capire innanzitutto cos’è la discriminazione: nell’ambito del comportamento e degli atteggiamenti sociali la discriminazione consiste nel trattamento, nella considerazione e/o nella distinzione non paritari attuati nei confronti di un individuo sulla base di un particolare gruppo sociale, classe sociale o categoria in cui la persona viene percepita come appartenente, anziché basandosi sui suoi singoli attributi.
Ciò include il trattamento sociale di un individuo o di un gruppo, in base alla loro appartenenza effettiva o percepita, all’interno di una determinata categoria sociale “in un modo che è peggiore del modo in cui le persone vengono solitamente trattate“.

Non credo che nell’intento del legislatore ci fosse l’intenzione di discriminare i lavoratori autonomi per quel che riguarda lo stato di disoccupazione. Semplicemente è diversa la definizione di lavoratore dipendente da quella di lavoratore autonomo.

Il lavoro autonomo (citando espressamente wikipedia)  è la forma di lavoro svolta da un tipo di lavoratore previsto dal diritto del lavoro italiano, definito dall’art.

2222 del codice civile italiano come colui che si obblighi a compiere, a prezzo di un corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti di un committente.

Esso identifica dunque l’attività di lavoro dei liberi professionisti e dei lavoratori autonomi manuali, con esclusione delle figure imprenditoriali, e necessita dell’apertura di partita IVA.

Il lavoro subordinato, o dipendente (sempre citando wikipedia) indica un rapporto di lavoro nel quale il lavoratore cede il proprio lavoro (tempo ed energie) ad un datore di lavoro in modo continuativo, in cambio di una retribuzione monetaria, di garanzie di continuità e di una parziale copertura previdenziale.

Questo ha di per se una grandissima differenza: la continuità del lavoro subordinato dipende non solo dal lavoratore ma anche dal datore di lavoro, mentre nel lavoro autonomo non si è dipendenti da nessuno.

Questo presupposto elimina lo “status di disoccupato” nel lavoro autonomo, ed ecco perché anche se può sembrare discriminante, non si configura la possibilità di accedere alla NASPI (indennità di disoccupazione).

Si decide di chiudere la partita Iva, che equivale, quindi, a dare le dimissioni, disoccupazione per la quale l’accesso all’ Ape sociale non è previsto. Il beneficio è, infatti, concesso soltanto ai “disoccupati che hanno finito integralmente di percepire, da almeno tre mesi, la prestazione per la disoccupazione loro spettante. Lo stato di disoccupazione deve essere conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura obbligatoria di conciliazione prevista per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

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