Lo stop alla perequazione ridisegna le aspettative previdenziali per l’anno in corso e anche per quelli successivi. Col rischio, chiaramente, che il mancato adeguamento degli assegni possa riservare qualche brutta sorpresa ai contribuenti.

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Anche perché l’inflazione non aspetta e il blocco dell’applicazione dei principi di compensazione tra spesa e trattamento ino al 31 dicembre 2026 pone una spada di Damocle sulla pensione di vecchiaia da qui ad almeno i prossimi tre anni. Con la possibilità concreta che, per il biennio 2025-2026, possano non verificarsi degli scatti per l’età pensionabile.

E ciò nonostante la legge lo preveda in relazione agli aggiornamenti dell’Istat sulle medie di settore. Il punto non è solo il rallentamento ormai cronico della riforma sulle pensioni, quanto la modifica della normativa sull’adeguamento pensionistico relativo a tutte le forme previdenziali anticipate. Il che, in assenza di un sistema strutturato, finisce per coinvolgere la maggior parte degli strumenti a disposizione per i contribuenti.

In tal senso, il decreto legge 4/2019 prevede che tutti coloro che maturano il diritto a un trattamento previdenziale nel suddetto lasso temporale, andranno a incorrere nel periodo di decorrenza pari a tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti. Al momento, le mosse adottate dai ari governi hanno auto l’obiettivo di impedire il ritorno effettivo ai parametri della Legge Fornero. La quale, tuttavia, trova ancora applicazione per quel che riguarda l’adeguamento dei trattamenti previdenziali di vecchiaia alle speranze di ita. Secondo la Circolare 28/2022 dell’Inps, a partire dall’1 gennaio 2025 scatterà il ritocco degli assegni sulla base del rapporto tra aspettative di ita e importi. Il tutto ragionando in base al mancato scatto previsto nel biennio 2023-2024.

In pensione nel 2025: come potrebbero cambiare gli assegni senza adeguamenti

Al momento, ogni discorso sulla riforma pensionistica è demandato al prossimo incontro tra governo e sindacati, previsto il prossimo 26 giugno.

È tuttavia probabile che dal confronto verrà fuori un accordo sulla proroga di Quota 103 anche per il 2024, con l’introduzione del nuovo sistema complessivo a partire dal 2025. Sempre che, nel frattempo, non emergano nuovi attori imprevisti. La mission resta sostanzialmente la stessa: impedire il ripristino del piano originario della Legge Fornero e lavorare, al contempo, sugli strumenti di pensione anticipata, cercando di arrivare a dama su Quota 41 come sistema previdenziale effettivo e ragionando sull’aggiustamento di Opzione Donna e Ape Sociale.

Al momento, però, restano issati i vecchi paletti. Come confermato dall’Inps con il messaggio 1599 del 2022, anche per il biennio 2025-2026 il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia resterà a 67 anni. Addirittura, a partire dal secondo successivo (2027-2028), il limite potrebbe estendersi di ulteriori due mesi.

A ogni modo, saranno necessarie le prossime proiezioni dell’Istat. Inoltre, l’adeguamento della pensione sarà basato unicamente su dati statistici. Il che, chiaramente, rende le prospettive perequative diverse a seconda dello stato effettivo dei contribuenti. È comunque improbabile che, qualora arrivasse l’atteso (e rimandato) scatto, questo possa essere superiore a due o tre mesi rispetto ai requisiti attuali.

Riassumendo…

  • la riforma pensionistica sarà probabilmente demandata al prossimo anno, mantenendo gli attuali strumenti di anticipo;
  • chi andrà in pensione nel 2025, allo stato attuale, potrebbe dover are i conti con un leggero slittamento, dettato dal mancato adeguamento dei trattamenti previdenziali.